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CANTONEAttentato alla Manor: «L'idea era quella di mettere una bomba nel negozio»

12.07.23 - 10:36
L'accoltellatrice cambia versione: «Tre dei miei contatti dovevano aiutarmi. Quando non si sono presentati ho deciso di agire da sola».
Tipress (archivio)
Attentato alla Manor: «L'idea era quella di mettere una bomba nel negozio»
L'accoltellatrice cambia versione: «Tre dei miei contatti dovevano aiutarmi. Quando non si sono presentati ho deciso di agire da sola».

BELLINZONA - Si riapre il sipario sul caso che sconvolse il Ticino: quello del doppio accoltellamento avvenuto il 24 novembre 2020, per mano di una 28enne della regione, al quinto piano della Manor di Lugano. A dieci mesi di distanza dalla sentenza di primo grado, oggi è infatti tempo di appello al Tribunale penale federale di Bellinzona.

Lo scorso settembre la Corte aveva condannato l'imputata, oggi 30enne, a nove anni di detenzione sospesi in favore di un trattamento stazionario in una struttura chiusa. Il movente terroristico era stato confermato e la donna era stata giudicata colpevole di ripetuto tentato assassinio, violazione della legge federale che vieta i gruppi "Al-Qaïda", "Stato Islamico" e associati e ripetuto esercizio illecito della prostituzione.

Il giudice Maurizio Albisetti Bernasconi chiede innanzitutto all'imputata come si trova al carcere La Farera. «Non tanto bene perché sto 22 ore al giorno in cella», risponde. La giovane si limita infatti a passeggiare per due ore in solitudine e non svolge alcuna attività ricreativa offerta dalla struttura carceraria. «Come mai?», la interpella il giudice. «Perché mi sento male, ho dei giramenti di testa frequenti. Il mio stato di salute è peggiorato».  

«Non lo rifarei» - Al contrario di quanto da lei affermato durante il processo di prima di istanza, oggi la giovane afferma di provare pentimento rispetto al doppio accoltellamento messo in atto ai danni di due donne. «Mi scuso con le vittime per quello che ho fatto. So che ho sbagliato. È sbagliato uccidere, anche i miscredenti, perché solo Dio lo può fare. Se tornassi indietro non lo rifarei».

Riguardo alla sua fede religiosa, la donna spiega poi di aver cambiato visione: «Posso essere una brava musulmana senza ricorrere alla violenza, perché la violenza è sbagliata». All'epoca dei fatti, aggiunge, «non ero una vera seguace dell'Islam perché non sapevo tante cose del Corano, ero all'oscuro di tutto». 

«L'errore più grande della mia vita» - Interrogata rispetto alle conversazioni intrattenute via Facebook con un siriano presunto jihadista della quale poi si è infatuata, l'imputata ammette di aver cercato online dei sostenitori dello Stato Islamico. «Ho aggiunto contatti finché non ho trovato qualcuno con cui parlare. Ero spinta dalla curiosità, volevo capire perché facevano quello che facevano e cos'è il fondamentalismo islamico».

Lo scopo ultimo dei messaggi scambiati con il jihadista «era quello di entrare in contatto con l'Isis», sottolinea la donna. «Se lei lo avesse trovato ugualmente affascinante ma lui fosse stato un buddista avrebbe comunque chattato con lui?» chiede la Corte. «No», risponde la 30enne con fermezza, affermando però che «intrattenere questi contatti è stato l'errore più grande della mia vita. Queste sono organizzazioni molto pericolose e io non voglio diventare un'estremista come loro».

«Volevamo far saltare in aria il negozio» - Si parla poi dell'attacco messo in atto lo scorso 24 novembre 2020. E la versione dei fatti fornita dalla giovane è tutta nuova. L'attentato «era premeditato, ma era stato pianificato diversamente. Mi sono organizzata con tre dei miei contatti e l'idea era quella di mettere una bomba nel negozio. Il mio ruolo sarebbe stato quello di minacciare le persone presenti alla Manor con un coltello, spaventandole e gridando "Allah u Akbar" e "Vendicherò il profeta Muhammad", mentre i miei contatti avrebbero fatto saltare in aria il negozio. All'ultimo momento però queste persone non si sono presentate e quindi mi sono detta "procedo io, non mi tiro indietro". Volevo che il mondo vedesse che ero in grado di fare tutto questo, non solo gli uomini».

L'imputata rifiuta però di fornire le generalità delle tre persone che l'avrebbero dovuta aiutare nell'attacco.

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