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SVIZZERAUna fornace dal Giura per forgiare i tank di Putin

15.09.22 - 06:30
Diverse aziende svizzere hanno lucrato vendendo in Russia macchine con cui oggi si realizzano armi. Ecco come è successo
Reuters
Una fornace dal Giura per forgiare i tank di Putin
Diverse aziende svizzere hanno lucrato vendendo in Russia macchine con cui oggi si realizzano armi. Ecco come è successo

BERNA - Non si possono vendere armi alla Russia, lo dicono le sanzioni internazionali in vigore già dal conflitto in Crimea, e alle quali la Svizzera in linea di massima aderisce. Ciò non significa che alcune aziende elvetiche con i loro affari non abbiano finito per sostenere - anche se in maniera indiretta - lo sforzo bellico di Mosca.

Ad arrivare sul territorio russo fra il 2015 e il 2019, sono perlopiù macchinari industriali che vengono poi utilizzati per la produzione di mezzi pesanti, armamenti e bombe usati in Ucraina dall'esercito del Cremlino. 

Fra quelli che hanno fatto affari con la Russia, scrive la Neue Zurcher Zeitung, c'è anche una ditta giurassiana che ha venduto alla metallurgica russa Elektromashina una fornace. L'azienda di Chelyabinsk è la più grande produttrice di carri armati della Federazione. La suddetta fornace "svizzera" si sarebbe rivelata fondamentale per forgiare i tank schierati dal Cremlino.

Un illecito? Sì e no, perché anche se è vero che il dispositivo in questione si presta anche a fini puramente civili ha un possibile impiego anche nel settore bellico. In gergo viene quindi chiamato un “dual-use-good”, cioè a un bene con possibile duplice utilizzo e, dunque, teoricamente soggetto ai controlli sulle esportazioni da parte della Seco. Controllo che però, a quanto pare, non è sempre stato certosino.

«Il supporto che un bene come questo può dare a un esercito è maggiore rispetto a quello dei singoli armamenti», spiega alla NZZ l'esperto di questioni militari del Politecnico di Zurigo Niklas Mashur, «se parliamo di macchinari e componenti di alta qualità e tecnologia, la Russia da sola non è in grado realizzarli e quindi le importazioni sono fondamentali».

Il caso della fornace elvetica, finita sotto gli occhi degli enti di sorveglianza ucraini dell'Economic Security Council of Ukraine (ESCU), è però solo uno dei tanti esempi. Macchinari per l'industria manifatturiera di un'azienda bernese sono stati impiegati nelle fabbriche del gruppo Kalashnikov così come in quelle del gruppo KBP, che produce armamenti e sistemi missilistici. 

Sempre dal canton Berna, ma da un altro produttore, arrivano dispositivi utilizzati dall'azienda Kuznetsov per realizzare motori aeronautici, e dalla Maschinenfabrik Awangard, anche qui per fabbricare razzi.

«I russi preferiscono la tecnologia svizzera e quella tedesca perché sono sinonimo di qualità», conferma l'ESCU che ribadisce, «è abbastanza evidente che così le aziende elvetiche abbiano finito per sostenere lo sforzo bellico della Russia».

A dare l'ok (o lo stop) all'esportazione - vista la loro natura duplice - avrebbe quindi dovuto essere Berna. Sentita dal quotidiano zurighese la Seco però si defila, non volendo commentare «i singoli casi» e aggiungendo che «molte di queste erano merci che non rientravano nelle disposizioni, e quindi non sono stati oggetto del controllo delle esportazioni». 

Una dichiarazione solo parzialmente vera, considerando che i beni in questione - a partire dalle sanzioni del 2014 - avrebbero dovuto essere quantomeno vagliati. Oggi, invece, la loro esportazione è vietata, dopo l'introduzione delle sanzioni per la guerra in Ucraina.

 

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