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REGNO UNITO La moglie di Assange: «Non mi fido degli Stati Uniti»

26.03.24 - 15:05
La 52enne è intervenuta di fronte all'Alta corte di Londra di fronte ai giornalisti
keystone-sda.ch / STF (NEIL HALL)
Fonte Ats ans
La moglie di Assange: «Non mi fido degli Stati Uniti»
La 52enne è intervenuta di fronte all'Alta corte di Londra di fronte ai giornalisti

LONDRA - Stella Assange non si fida del via libera condizionato concesso oggi dai giudici britannici dell'Alta Corte sulla possibilità di un ultimo appello contro la contestata estradizione negli Usa del marito Julian, cofondatore di WikiLeaks. E si dice «basita» per la possibilità lasciata aperta alle autorità di Washington - come una sorta di scappatoia procedurale - di rovesciare ancora il verdetto attraverso un pezzo di carta con qualche rassicurazione in più. Malgrado Amnesty International, come nota WikiLeaks su X (ex Twitter), abbia già bollato in passato qualsiasi garanzia di fonte americana su questo caso come «intrinsecamente inaffidabile».

La moglie del 52enne attivista australiano ha riconosciuto al verdetto odierno il merito di aver certificato come reali «la minaccia al diritto della libertà di espressione» di Assange, «la sua discriminazione» in quanto cittadino non americano e il rischio non cancellato del tutto - a dispetto di precedenti mezze garanzie - di una sua ipotetica condanna a morte. Ma - parlando fuori dalla sede dell'Alta Corte a giornalisti e a manifestanti radunatisi anche oggi - si è mostrata «basita» per il fatto che l'appello possa ancora essere cancellato, laddove entro tre settimane «gli Usa presentino una semplice dichiarazione politica per dire che andrà tutto bene»: dichiarazione che nelle sue parole «non varrebbe la carta su cui fosse scritta».

«Julian è un prigioniero politico - ha poi rincarato la donna, avvocata sudafricana -, un giornalista perseguitato per aver rivelato al mondo i veri costi delle guerre». Ed è bersaglio di «una vendetta che metterebbe in pericolo tutti voi» se si compisse, ha aggiunto, dopo aver paragonato più volte nel recente passato il destino del marito a quello dell'oppositore russo Aleksey Navalny, morto in carcere in Siberia il mese scorso, dicendosi certa che egli non sopravvivrebbe a un'estradizione negli Usa.

Jennifer Robinson, avvocata di Assange e di WikiLeaks, ha comunque accolto come «importante» il riferimento nel dispositivo odierno dei giudici alla libertà di espressione e al Primo Emendamento, questioni su cui ha detto di non credere che gli Usa possano dare rassicurazioni adeguate. Mentre l'ex leader laburista britannico, Jeremy Corbyn, sostenitore storico di Assange, rivolgendosi dal palco ai partecipanti alla protesta di oggi, ha definito quello di oggi «un grosso passo in avanti», ma «non ancora la vittoria»: tornando a invocare come unico epilogo accettabile il ritorno in libertà da innocente di Julian.

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