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BERNALa pugile accusata di aver ucciso il marito con una mazza da baseball: «Sono innocente»

19.02.24 - 12:53
Alla sbarra Viviane Obenauf, condannata in primo grado a 16 anni. La donna ha perso i sensi durante l'interrogatorio del giudice.
Tamedia AG/Hans Wüthrich
La pugile accusata di aver ucciso il marito con una mazza da baseball: «Sono innocente»
Alla sbarra Viviane Obenauf, condannata in primo grado a 16 anni. La donna ha perso i sensi durante l'interrogatorio del giudice.

BERNA - Per i giudici di primo grado, gli indizi vanno considerati come i pezzi di un mosaico: «Presi insieme forniscono un’immagine nitida e certa».

Per questo, nel 2022 la corte di Thun (BE) aveva ritenuto la pugile brasiliana Viviane Obenauf responsabile dell’omicidio del marito 61enne e l’aveva condannata a 16 anni di reclusione e 12 anni di espulsione dalla Svizzera.

Un'innocenza tutta da dimostrare - Oggi, si apre il processo di secondo grado, con la difesa, affidata questa volta all’avvocato Simon Bloch, intenzionata a dimostrare l’innocenza dell’imputata.

Il fatto è accaduto nell’ottobre del 2020: a Interlaken, un proprietario di un ristorante era stato trovato senza vita dopo essere stato picchiato a morte con una mazza da baseball. Fin da subito, nonostante si fosse dichiarata estranea a quanto accaduto, venne accusata Obenauf, sua moglie che è anche una campionessa di pugilato.

Un mosaico di prove - Pur mancando prove evidenti, l’accusa aveva messo in fila una dozzina di indizi ritenuti poi credibili da parte della corte.

La donna, infatti, era l’unica a possedere le chiavi della casa del marito (vivevano in appartamenti separati ndr.). Anche se la finestra dell'appartamento era stata trovata aperta dalla polizia.

Inoltre, sono state ritrovate tracce di sangue sulle sue scarpe, la sua giacca della tuta (anch'essa sporca di sangue) è stata rinvenuta in container della spazzatura poco distante e le sue impronte digitali erano presenti sull'arma del delitto (questa toccata da lei e dal figlio quando hanno rinvenuto il corpo).

L'auto di lei, inoltre, è stata avvistata nei pressi della casa della vittima in un orario compatibile con l'omicidio. Infine sul suo cellulare, sono stati identificati i resti del Dna della vittima.

«Ho provato ad aiutarlo» - «Quando sono entrata nell’appartamento di mio marito - spiega oggi la pugile - ho visto sangue dappertutto. Inizialmente non ho capito. Ero sotto shock, non riuscivo a respirare, non potevo parlare. L’ho visto steso a terra con gli occhi aperti. Poi ho provato ad aiutarlo: mi sono accorta della sua morte solo quando me l’hanno comunicata i soccorritori». In quel momento, sostiene la difesa, le scarpe della donna si sarebbero sporcate con il sangue della vittima.

Stando al referto dei medici legali, a causare la morte dell'uomo sarebbero stati 19 colpi inferti alla testa con il corpo contundente. Dalla mano dell'uomo, ormai agonizzante, è stata poi sfilata la fede. Un'indizio, secondo gli inquirenti, di una possibile matrice passionale dell'aggressione.

La motivazione all'origine del delitto non è mai stata chiara. Secondo l'accusa fra la donna e il marito, dal quale viveva separata, non correva più buon sangue e un possibile divorzio era nell'aria. Una motivazione, questa, che però non è sufficiente a motivare l'efferatezza dell'atto.

Svenimento in aula - L’imputata, mentre rispondeva alle domande della corte, contestando gli indizi contro di lei, ha avuto un mancamento, perdendo i sensi. La seduta è stata sospesa per una cinquantina di minuti.

La difesa ha mostrato ai giudici un video in cui la sua assistita, in preda a dolori lancinanti per un infortunio al braccio, veniva sottoposta a infiltrazioni: le iniezioni avrebbero causato febbre, impedendo quindi alla donna d’essere nelle condizioni fisiche per compiere un omicidio.

Fra le altre frecce all'arco della difesa c'è una serie di errori procedurali da parte degli inquirenti che renderebbero alcune prove inammissibili a processo.

Il processo continuerà per tutta la settimana.

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