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SENZA TRUCCO SENZA ING…ARNOLeo, Cristiano, Zlatan, l’addio degli Dei

14.06.23 - 07:00
«Oggi, se si guarda una partita tra bambini in un campetto, le maglie più usate sono quelle di Messi e Ronaldo»
Imago
Leo, Cristiano, Zlatan, l’addio degli Dei
«Oggi, se si guarda una partita tra bambini in un campetto, le maglie più usate sono quelle di Messi e Ronaldo»
Arno Rossini: «Far rendere al massimo i calciatori? Sembra semplicissimo, è quanto di più complicato ci sia nel pallone».
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MIAMI - La stagione che si è appena chiusa, non c'è che dire, è stata veramente particolare per il calcio. Cristiano Ronaldo è andato in Arabia Saudita, Leo Messi andrà negli Stati Uniti, Zlatan Ibrahimovic ha smesso, il Manchester City ha vinto la Champions, il Napoli ha vinto lo scudetto…

«Poi c'è anche stata la scomparsa di personaggi che al pallone hanno dato tantissimo - è intervenuto Arno Rossini - Il prossimo sembra quindi quasi destinato a essere un anno zero».

Tenuto conto delle tante "chiusure", proporrà dunque grandi novità?
«Credo che i temi da affrontare siano due: l'addio di tanti idoli e punti di riferimento e l'aspetto legato puramente al gioco. Nel primo caso il mondo del pallone, e con questo intendo le federazioni e i club, dovrà essere bravo a trovare per gli appassionati nuovi simboli. Qualcuno di trascinante. Qualcuno che spicchi sopra gli altri. Al momento ci sono tanti campioni, ma super campioni e “personaggi” non ne vedo. Oggi se si guarda una partita tra bambini in un campetto, le maglie più usate sono quelle di Messi e Ronaldo».

Non c'è il rischio che, senza stelle di primissima grandezza, qualche giovane supporter finisca con l’allontanarsi?
«Sì, può essere. Chiaro. Ma è qualcosa di ciclico. Il calcio ci è già passato; la speranza, per lo spettacolo e l'attenzione riservata a questo sport, è che non si debba attendere troppo affinché nuovi beniamini sappiano catturare l'attenzione dei più».

Cosa serve a un grande giocatore per diventare un supereroe?
«Beh, la risposta è facile. Deve entusiasmare, garantire spettacolo e soprattutto deve portare i risultati. Deve far vincere la sua squadra. Qualcosa del genere, in piccolo, lo abbiamo visto con la nostra Svizzera. Ora i simboli riconoscibili e riconosciuti sono Xhaka, Shaqiri e Sommer. Perché? Perché hanno talento e perché sono quelli che negli ultimi dieci anni hanno portato la selezione rossocrociata a un livello che non toccava da tempo».

Un livello altissimo, il massimo, lo ha toccato pure il Manchester City.
«E questo è il secondo tema. I Citizens saranno presi come esempio per i prossimi anni. Guardiola ha fatto un capolavoro e, come già accaduto ai tempi del Barcellona con il tiqui-taca, ha indicato una strada che in molti proveranno a seguire».

Però un conto è schierare Haaland e de Bruyne, per citarne giusto un paio, un altro è avere a disposizione elementi bravi ma non eccelsi.
«Negli anni l'allenatore spagnolo ha guadagnato il diritto di scegliere il club dove lavorare. Ovviamente ha sempre scelto quelli ricchissimi, nei quali fare mercato non è mai stato un problema. Premesso ciò, nel tempo ha anche saputo crescere, evolvere. Ha sposato appieno la filosofia delle società nelle quali è andato, è partito da quella e poi ha costruito squadre fortissime con una precisa identità di gioco. Sempre diversa. Il Barcellona, il Bayern Monaco e il Manchester City non si muovono allo stesso modo. Questa è la grandezza del mister catalano».

Noi comunque fatichiamo a immaginare le squadre di mezzo mondo impegnate a esprimersi come fanno i britannici.
«Quello sarà l'obiettivo di molti. C'è la prova che è una filosofia vincente; poi ovviamente c'è anche la realtà. Il segreto, neanche troppo segreto, è riuscire a valorizzare, a far rendere al massimo, i ragazzi che si hanno a disposizione. Sembra semplicissimo, è quanto di più complicato ci sia nel pallone».

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