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LOCARNO FILM FESTIVAL«A volte ci si può anche solo divertire. Non si commette peccato»

02.08.23 - 06:30
Questa sera prende ufficialmente il via il Locarno Film Festival. Le avvertenze e i "consigli di visione" di Giona A. Nazzaro
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Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival.
Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival.
«A volte ci si può anche solo divertire. Non si commette peccato»
Questa sera prende ufficialmente il via il Locarno Film Festival. Le avvertenze e i "consigli di visione" di Giona A. Nazzaro

LOCARNO - Questa sera prende il via l'edizione 2023 del Locarno Film Festival. Tutto è pronto in città per accogliere cineasti e appassionati della Settima arte provenienti da tutto il mondo. Il festival, così variegato nelle proposte, si presta a diverse letture. Ma quale potrebbe essere l'anima di questo Pardo? Ne abbiamo parlato con Giona A. Nazzaro, il direttore artistico della kermesse.

Iniziamo dallo sciopero degli attori SAG-AFTRA: è stato un colpo apprendere che alcuni degli ospiti più attesi non saranno a Locarno oppure hanno rifiutato i premi assegnati?
«È stata una situazione inedita, che abbiamo dovuto affrontare caso per caso. Non c'erano delle linee guida specifiche da seguire. Ovviamente questa cosa ci ha dovuto far ripensare un poco la scansione degli eventi come l'avevamo immaginata».

Senza entrare nel merito delle rivendicazioni, cosa ci racconta questo sciopero del mondo del cinema contemporaneo?
«Ci racconta che il cinema, come tutte le arti, è anche un lavoro. La remunerazione all'interno di questa attività va ripensata, di fronte alle sfide poste dalle nuove tecnologie e dalle nuove modalità di fruizione. La questione in fondo, è sempre la solita: queste tecnologie servono a tagliare costi, quindi a sostituire delle competenze e dei lavori, oppure hanno lo scopo d'integrare quelle competenze e rafforzano i lavori già esistenti? È il quesito chiave».

Ha fatto molto discutere anche la possibilità di veder "tornare" sullo schermo star scomparse, ricreate con l'intelligenza artificiale...
«Qui si fa un passo più in là: se un attore muore, la sua immagine può continuare a essere sfruttata per creazioni ulteriori o ciò cessa con il termine della sua esistenza biologica? Sembrano questioni da film di fantascienza anni '70, ma oggi sono questioni che investono profondamente la sfera dell'etica dell'immagine».

Come definirebbe, usando una sola frase, la programmazione di quest'anno?
«Se fosse uno slogan, direi che quest'anno la programmazione di Locarno è ambiziosa e popolare al tempo stesso».

Una fetta dell'opinione pubblica ticinese etichetta il Locarno Film Festival come manifestazione elitaria: ha qualcosa da dire in merito?
«Posso capire da dove arrivino queste osservazioni; chiederei però che si desse al Festival, così come l'ho disegnato insieme ai miei collaboratori, una possibilità e un'ulteriore verifica. Per esempio: la Retrospettiva dedicata al cinema messicano è incentrata su quello che è il cinema popolare. Perché l'abbiamo fatto? Perché c'interessava capire quali erano i film attraverso i quali si era creato un pubblico nazionale messicano. Quest'anno nel Concorso internazionale ci sono molte commedie (o film che confinano con essa). In Piazza Grande tutti i film sono estremamente accessibili. Fuori concorso si va dai documentari ai film d'azione. Quindi io credo che un pubblico incuriosito dal Festival possa tranquillamente trovare almeno quattro film al giorno con i quali confrontarsi, senza sentirsi escluso».

E chi invece considera la kermesse come avulsa dalla realtà ticinese?
«Per quel che mi riguarda, il Festival sganciato dal territorio e senza un dialogo attivo con il pubblico non ha possibilità, né ragione di esistere».

Oggi come si porta al cinema il "Gigi da Viganell"?
«Ho sempre dubitato dell'esistenza del "Gigi da Viganell", come se ci fosse una tipologia di persona menomata intellettualmente... Credo che la nostra responsabilità di programmatori sia quella di accendere la curiosità. Personalmente andare a vedere i film in sala, ancora oggi, è una delle cose che mi entusiasma di più. E lo scorso mese di luglio è stata festa grande. Quando, con i miei collaboratori, disegniamo il programma del Festival di Locarno, tentiamo di tracciare dei percorsi che s'intersechino in modo tale da interfacciarci con pubblici diversi. Cerchiamo di avere sia il film estremamente esigente, sia quello divertente, quello d'azione o quello che confina con l'horror...».

Potendo rivolgersi al pubblico, cosa gli direbbe?
«Chiedo semplicemente di lasciarsi guidare dalla curiosità e lasciare a casa i pregiudizi. Mi permetto umilmente di ricordare che entusiasmarsi non è un peccato: dover stare lì sempre guardinghi, essere più critici di tutti... A volte ci si può anche solo divertire. Non si commette peccato».

Ci sembra di capire che "Non sono quello che sono – The Tragedy of Othello" sia uno dei film ai quali tiene di più...
«Sì. Dobbiamo aspettarci il film di una persona che ha avuto la fortuna di studiare con Gigi Proietti, che è stato uno dei primi a immaginare il linguaggio di Shakespeare volto nella lingua romana. È quindi una tragedia shakesperiana, in romano, sullo sfondo della "no man's land" di Ostia. È un film dalla grande modernità e dal grande rischio autoriale - Leo è conosciuto soprattutto come attore di commedie. Un lavoro molto rigoroso, nel quale il regista gioca contro il proprio ruolo. È inoltre, ancora una volta, la prova della grande capacità di re-immaginare il cinema popolare italiano di una società come Groenlandia, diretta fra gli altri da Matteo Rovere e Sydney Sibilia».

Ci darebbe qualche "consiglio di visione" che esce un po' dall'ordinario?
«Assolutamente sì, sono molto contento di poterlo fare. Mi permetta di concentrarmi sulla Retrospettiva messicana: "Espaldas mojadas" di Alejandro Galindo; "Pueblerina" di Emilio Fernández, molto amato da Peckinpah come attore; "El corazón y la espada" di Edward Dein, Carlos Véjar Jr., il primo film in 3-D messicano; "La mujer murciélago" di René Cardona, la versione messicana di Batwoman; aggiungo infine, perché non riesco a trattenermi, "El gran campeón" di Chano Urueta».

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COMMENTI
 

curiuus 9 mesi fa su tio
Bene, riecco la Parda di Locarna (Pardo non si dice più ... ) 🤣
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