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LUGANOJacopo Fo e crescere con Dario Fo e Franca Rame: «Quando c'erano... c'erano veramente»

02.06.22 - 06:30
Jacopo Fo renderà omaggio ai suoi genitori venerdì 3 giugno nel corso del Festival Poestate
IMAGO / ZUMA PRESS - DRAMA-Berlin.de
Dario Fo, Franca Rame e Jacopo Fo.
Dario Fo, Franca Rame e Jacopo Fo.
Jacopo Fo e crescere con Dario Fo e Franca Rame: «Quando c'erano... c'erano veramente»
Jacopo Fo renderà omaggio ai suoi genitori venerdì 3 giugno nel corso del Festival Poestate

LUGANO - È tempo di omaggi per Poestate 2022: dopo quello a Giorgio Gaber affidato a Paolo Dal Bon, presidente della Fondazione che porta il nome del grande cantautore, il festival luganese ospiterà venerdì 3 giugno quello a Dario Fo e Franca Rame. Chi potrebbe parlare di questi due giganti della cultura italiana meglio di loro figlio, Jacopo Fo? Sarà lui a spiegare al pubblico, dalle ore 20.30, "Com'è essere figlio di Franca Rame e Dario Fo".

Domanda scontata: com'è stato essere figlio di Franca Rame e Dario Fo?
«È stata un'esperienza molto strana, l'essere cresciuto in una famiglia in cui alcuni valori fondamentali erano diversi. La nostra cultura è dominata dai concetti di sacrificio e disciplina (o addirittura punizione), mentre la cosa fondamentale che mi ha insegnato la mia famiglia è la passione. Fai quello che vuoi, che campi di più. Quando dico questa cosa nelle scuole e in tv, la reazione generalmente è: "Beh, allora, stai sdraiato sul divano". Fare ciò che vuoi, nel senso che ti appassiona, è una molla molto più forte del sacrificio, portato avanti per paura di una punizione».

Era quindi questo, il "segreto" di casa Fo?
«Oggi ci sono molti intellettuali, anche progressisti, che dicono che i padri hanno rinunciato alla propria autorità. Per rinsaldarla ci vorrebbero castighi e punizioni. Secondo me il concetto è completamente diverso: la passione ti porta anche a fare degli sforzi estremi, ma non è sacrificio, perché porta a ciò che uno vuole fare davvero. Chi s'impegna per spirito di sacrificio ha un punto di crollo molto più basso rispetto a chi lo fa per passione. Ho visto i miei genitori (e io stesso) recitare in condizioni fisiche spaventose: lo fai per passione. Se assisti una persona cara che sta morendo, non è divertimento ma non è neanche sacrificio: è l'unica cosa che vuoi fare in quel momento». 

Che genitori sono stati, Dario Fo e Franca Rame?
«Lavoravano e sono stati molto assenti, ma quando c'erano... c'erano veramente. È stata anche questa una cosa molto strana. Sono cresciuto molto privilegiato, ma allo stesso tempo eravamo una famiglia di perseguitati. A sette anni sono stato condannato a morte dalla Mafia perché i miei genitori avevano denunciato l'esistenza degli omicidi di Mafia in Sicilia. Era una cosa che nel 1962, in televisione, non si poteva fare. Così ho iniziato ad andare a scuola scortato dalla polizia».

Questa esperienza ha lasciato dei segni su di lei?
«L'ho scoperto dopo, in realtà, ma comunque comprendevo che c'era qualcosa che non andava, anche se non lo capivo razionalmente. Non solo: a 12 anni mi allenavo a percorrere il tragitto da Asnigo di Cernobbio al confine con la Svizzera in 45 minuti. Se ci fosse stato un colpo di Stato (e noi eravamo nelle liste di proscrizione, saremmo stati deportati nei campi di concentramento) avrei avuto la possibilità di raggiungere degli amici di famiglia in Svizzera che mi avrebbero salvato. Mi ero creato una via di fuga ed è stata una delle prime decisioni importanti della mia vita, che imposi ai miei genitori».

Oltre alla forza della passione, quali sono i loro insegnamenti che si sono maggiormente radicati dentro di lei?
«Uno importante è il valore della solidarietà come scopo nella vita. E il valore dell'arte: un bravo medico dovrebbe prescrivere entrambe, oltre alle medicine. Sono due forme di cura dell'anima e strumenti che danno senso all'esistenza».

Come vede la società contemporanea, con riferimento al periodo piuttosto buio che stiamo passando?
«Credo che uno dei maggiori problemi sia l'assenza di senso. Prima magari c'era un orientamento - magari autoritario o stereotipato, ma c'era: studio, lavoro, mi sposo, faccio figli, vado in pensione. Questa era la vita, una perfezione apparente dietro la quale si nascondevano magari abissi di alienazione e dolore. Oggi, invece, c'è solo la confusione».

Cosa può fare l'uomo di oggi?
«È un momento di grande crisi, ma anche di ricerca. Io sono ottimista: ho fede nel fatto che la natura delle cose stia evolvendo verso una direzione positiva. È molto più facile essere pessimisti, ma ci sono segnali grandiosi: mai come oggi la cultura e la comunicazione sono a disposizione di tutti».

Quale messaggio lancerebbe ai giovani? Di sfruttare in pieno la tecnologia per assecondare la propria passione?
«Sì ma la cosa difficile è proprio capire quale sia questa passione. È una ricerca - mentre oggi la nostra cultura ti dice che devi sapere subito cosa vuoi fare. Non è così, si tratta di andare per tentativi. Io sono per la filosofia-Shanghai: devi muovere prima la bacchetta di legno più facile da spostare».

Voi siete l'esempio pratico di questa filosofia...
«Io ho iniziato facendo fumetti, poi mi sono messo a scrivere, a fare teatro, poi la guida ambientale. Ho lavorato con i bambini, con i disabili... Mio padre ha iniziato come pittore e architetto, poi ha mollato e ha fatto l'attore, il regista e così via. Trovare la propria strada attraverso la sperimentazione è ciò che la scuola non insegna. La scuola insegna verità assolute che bisogna apprendere, e non ricercare. Tra l'altro generalmente sono false. La più grande che viene taciuta è come funziona concretamente il mondo: non sappiamo nulla di come sono fatti gli atomi, come funziona la fotosintesi clorofilliana, perché l'erba è verde... Come diceva Loris Malaguzzi, uno dei più grandi pedagogisti italiani, bisogna insegnare la curiosità e non le informazioni».

Immagino che a casa sua la curiosità fosse coltivata tantissimo...
«Sì, i miei raccontavano storie incredibili: leggende, battaglie, viaggi. E storie inventate completamente: mio padre mi raccontava "Pinocchio" ma era un investigatore privato che fregava sempre il Gatto e la Volpe».

Lei, oggi, come si descriverebbe?
«Sono una persona che sta cercando di capire come funziona».

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