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GUERRA IN MEDIO ORIENTEEscalation militare e shock petrolifero: rischio concreto. «Carenze di gasolio in Europa»

12.10.23 - 11:15
Non è azzardato paragonare quanto sta accadendo oggi a quello che la storia ci ha già mostrato, con la crisi energetica del 1973.
Afp
Escalation militare e shock petrolifero: rischio concreto. «Carenze di gasolio in Europa»
Non è azzardato paragonare quanto sta accadendo oggi a quello che la storia ci ha già mostrato, con la crisi energetica del 1973.

LUGANO - Lo abbiamo scritto. Lo spettro che aleggia su un possibile, forse inevitabile, shock petrolifero, spaventa i mercati, le famiglie e le imprese. Perché inflazione, recessione e povertà potrebbero essere la dolorosa conseguenza della miope politica economica dei governi europei.

Un esempio ci arriva dalla vicina Italia, che sulla scia della solidarietà "a tutti i costi" all'Ucraina ha abbandonato le forniture russe, salvo poi allacciare più stretti rapporti con l'Algeria, sponsor di Hamas. E alla premier Meloni ora non resta constatare che sì, «si rischia lo shock petrolifero».

«Carenze di gasolio in Europa quest'inverno».
L'inadeguatezza della classe politica europea nel gestire la questione energetica è confermata oggi dall'Agenzia internazionale dell'energia (Aie) che - secondo un'agenzia Ansa - «ha avvertito di possibili carenze di gasolio in Europa quest'inverno a causa delle limitazioni di approvvigionamento, tra cui l'embargo dell'Unione europea sul greggio russo».

Dunque, con l’abbandono degli approvvigionamenti energetici dalla Russia, dopo quel terribile 24 febbraio 2022 e il nuovo conflitto in Medio Oriente, il Vecchio continente si trova suo malgrado a fronteggiare qualcosa che sembra essere troppo grande per la sua classe dirigente e che potrebbe avere conseguenze catastrofiche, specie per le imprese che si trovano già a dover fronteggiare costi di produzione e materie prime insostenibili.

Costi insostenibili per le imprese.
Il pugno allo stomaco degli imprenditori dell’acciaio, pane dell’industria, è sotto gli occhi di tutti, da mesi. Con il prezzo dei rotoli che viaggiano su valori doppi, anche solo se paragonati al 2020. Con gli impianti di laminazione accesi a costi folli. E la prospettiva è tutt'altro che rassicurante, Israele è stata chiara: ci si prepara a un conflitto lungo e sanguinoso, tanto che ieri è stato istituito un Governo di emergenza nazionale.

L'apprensione sale e si fa concreta, anche se si guarda al passato, alla crisi energetica del 1973, con l'attacco a Israele da parte di Egitto e Siria. E conseguente decisione dell'OPEC di sostenere l'azione di questi ultimi con aumenti del prezzo del barile ed embargo nei confronti dei paesi filo-israeliani.

Il peso dell'Iran sui prezzi al barile.
Ma non è tutto, anzi. Dell'Iran, parte in causa, sostenitrice di Hamas e dei suoi 3,3 milioni di barili al giorno, abbiamo detto. Non si può però non ricordare che Teheran, che alimenta con il proprio greggio parte del fabbisogno cinese ed è terzo al mondo in quanto a riserve petrolifere, ha la concreta possibilità di orientare i destini dell'economia del globo.

Semplicemente riducendo la propria produzione e contribuire così il raggiungimento di un prezzo di 100 dollari al barile. Target tutt’altro che fantasioso, dato che la stessa Goldman Sachs ha previsto pochi giorni fa che il brent (greggio che viene estratto nel mare del Nord) salirà «a 100 dollari, entro giugno 2024».

Interlocutore di peso degli iraniani è Putin, che proprio ieri è tornato a criticare, quasi incredulo, le scelte economicamente "suicide" europee, dichiarando che i paesi europei stanno «pagando più del dovuto per le forniture» di gas e petrolio e che «di conseguenza l'economia dell'Ue è vicina allo zero»

Lo scacchiere internazionale e gli appelli all'odio.
Dunque economia e politica, con la possibilità escalation non esclusa da diversi analisti. In primis guardando a Siria e Libano, con lanci di razzi reciproci, già finiti alla cronaca di questo sanguinoso conflitto. La miccia già innescata potrebbe poi raggiungere anche Egitto e Giordania. E soprattutto l'Iran.

Una polveriera su cui soffia, fomentando le piazze arabe, l'ex capo di Hamas Khaled Meshaal, che ha rivolto un appello a tutto il mondo musulmano a scendere in strada domani, dopo la preghiera, a sostegno ai palestinesi e affinché i popoli dei Paesi vicini si uniscano contro Israele.

I pezzi dello scacchiere sono già tutti ben allineati: se Teheran decidesse di intervenire, gli Usa sono già pronti con la Gerald Rudolph Ford, la portaerei più grande al mondo, "parcheggiata" fra Cipro e Libano. Del resto il conflitto è lontano dalle loro coste. Un ingresso a quel punto della Cina sarebbe pressoché inevitabile e determinerebbe scenari apocalittici.

I mediatori: Erdogan e Putin.
Può sembrare anacronistico ma potrebbero essere proprio i politici più discussi e discutibili a risollevare quello che appare un quadro spaventoso.

Sì, proprio loro, Vladimir Putin («bisogna cercare soluzioni di compromesso») e Recep Tayyip Erdogan che ieri ha avviato negoziati con Hamas per ottenere la liberazione degli ostaggi israeliani. I due potrebbero "soffiare sulla pace", anche solo per interesse. Perché Israele è per loro un prezioso mercato di sbocco, specie dei prodotti siderurgici.

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