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STATI UNITISuper Tuesday, Trump: «Penso che vinceremo in tutti gli Stati»

05.03.24 - 21:01
L'ex presidente pronto a dare la spallata ad Haley e a ottenere la nomination repubblicana per le presidenziali.
Afp
Fonte ats ans / di Claudio Salvalaggio
Super Tuesday, Trump: «Penso che vinceremo in tutti gli Stati»
L'ex presidente pronto a dare la spallata ad Haley e a ottenere la nomination repubblicana per le presidenziali.

WASHINGTON - L'ex presidente repubblicano degli Usa e candidato alle presidenziali Donald Trump è pronto a dare la spallata finale alla rivale Nikki Haley oggi nel Super Tuesday, la più grande tornata di primarie con 15 Stati e un territorio americano al voto distribuiti in sei fusi orari.

«Penso che vinceremo in tutti gli Stati», ha profetizzato poche ore prima dell'apertura dei seggi, forte dei sondaggi che lo danno avanti ovunque dopo aver già trionfato in ogni gara, tranne che nella capitale Washington D. C. Secondo il sito web statunitense di notizie e aggregatore di dati sui sondaggi RealClearPolitics, in California surclassa Haley di 53 punti, mentre il suo vantaggio in Texas sarebbe addirittura del 70%.

Gli altri stati alle urne sono Alabama, Alaska, Arkansas, Colorado, Maine, Massachusetts, Minnesota, Oklahoma, Tennessee, Utah, Vermont, Virginia, Carolina del nord (unico stato in bilico in gioco) e isole Samoa. I democratici non voteranno in Alaska e terranno i caucus nelle Samoa, ricevendo inoltre anche i risultati della corsa in Iowa, dopo il voto per posta.

In palio un terzo dei delegati: 865 per i repubblicani e almeno 1420 per i democratici, dove l'attuale presidente e candidato Joe Biden non teme rivali, ma il voto di protesta arabo-americano per non essere riuscito a fermare il "genocidio" a Gaza. Il tycoon ha già 247 delegati, contro i 43 della sua rivale, e punta a vincerne almeno 773, chiudendo matematicamente la partita non oltre il 19 marzo, quando avranno votato Florida, Arizona e Ohio e potrà raggiungere il numero magico di 1215 delegati, ossia la metà di quelli necessari per rivendicare la "nomination" alla "convention" di luglio.

In tal modo avrebbe la strada spianata per il "rematch" con Biden. Gli unici ostacoli sono i processi, con 91 capi di imputazioni sulla testa e 464 milioni di dollari (411 milioni di franchi) da pagare entro marzo per gli asset gonfiati. Ma se l'imbarazzante dibattimento per il caso della pornostar Stormy Daniels è già fissato a New York per il 25 marzo, per gli altri non c'è ancora una data ed è probabile che nessuna sentenza arrivi prima dell'"election day". Nel frattempo la Corte suprema, che gli ha garantito l'eleggibilità respingendo l'applicazione statale della clausola insurrezionale per l'assalto al Capitol del 6 gennaio 2021, dovrà decidere sulla sua richiesta di immunità presidenziale.

Resta anche la spina al fianco di Haley, con l'incognita di cosa farà dopo questa maxi tornata. «Per quanto tutti vogliano spingermi a lasciare, non sono ancora pronta a farlo», ha detto all'emittente televisiva Fox News prima del voto. L'ex ambasciatrice all'Onu si era impegnata a restare in corsa sino a Super Tuesday, dopo il quale non ha più alcun evento o spot televisivo in programma.

La sua scelta dipenderà dall'esito del voto, dove potrebbe evidenziare nuovamente le vulnerabilità di Trump nelle elezioni generali (soprattutto nelle aree suburbane colte), confermando la sua capacità di intercettare il voto moderato e indipendente: soprattutto in Stati come Virginia, Massachusetts e Vermont, che hanno elettori più ricchi ed istruiti e dove non è necessario essere registrati come repubblicani per partecipare alle primarie. In tal caso potrebbe continuare la corsa - forse anche come indipendente - confidando nei guai giudiziari del tycoon o in qualche altra sorpresa. O, se Trump perdesse a novembre, riproponendosi nel 2028 come leader di un partito repubblicano non più ostaggio di Trump.

Biden intanto è quasi certo di ipotecare la "nomination" contro rivali comparsa come il deputato Dean Phillips e la scrittrice Marianne Williamson. Ma teme che si ripresenti quanto successo in Michigan, dove il voto di protesta della comunità arabo-musulmana contro la sua posizione "troppo debole" su Israele ha riunito il 13% degli elettori: i rischi sono concentrati in California, Colorado, Carolina del Nord, Minnesota e Vermont.

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