Quali conseguenze ecologiche hanno le sostanze illegali come la cannabis, la cocaina e l’ecstasy?
Una panoramica sull’eco bilancio delle tre droghe più gettonate dagli svizzeri.
Il 32 per cento della popolazione svizzera tra i 15 e i 59 anni ha già consumato cannabis almeno una volta. Per la cocaina il dato si attesta a quasi il 7 per cento mentre per l’ecstasy al 6 per cento. Queste tre sostanze illegali sono quindi le droghe più gettonate dagli svizzeri e il loro consumo cresce costantemente.
Il consumo di queste sostanze non comporta solo rischi per la salute ma anche conseguenze ecologiche. Nel 2022, le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto che mostra come il loro impatto sull’ambiente, se confrontato con quello dell’agricoltura legale, è relativamente ridotto ma non va comunque sottovalutato, soprattutto nelle regioni rurali.
Che impatto hanno concretamente cannabis, cocaina ed ecstasy? Una panoramica.
Cannabis: pericolo per la biodiversità
Attualmente, circa il 70 per cento della cannabis sul mercato europeo proviene dal Marocco. La zona di coltivazione più importante del Paese è situata sul versante settentrionale della zona montuosa del Rif. Le Nazioni Unite riferiscono che la coltivazione intensiva ha trasformato l’area del Rif nel maggiore utilizzatore di pesticidi di tutto il Marocco. L’impatto sulle acque e sul suolo non è chiaro ma è invece certo che la coltivazione avviene in monocoltura. La pressione esercitata sul fragile ecosistema della regione è quindi sempre maggiore. Le Nazioni Unite parlano di disboscamenti, scarsità d’acqua e diminuzione della biodiversità.
La piattaforma scientifica Mongabay scrive che tra le conseguenze della coltivazione di cannabis si trovano soprattutto l’inquinamento dell’acqua potabile e il disboscamento delle foreste. In Paraguay, la superficie della foresta atlantica è diminuita a un quarto della sua dimensione originale anche a causa della produzione di cannabis. In Madagascar, la riserva nazionale protetta di Tsaratanana combatte contro la coltivazione illegale di cannabis che accelera il disboscamento e minaccia la biodiversità.
Mentre le coltivazioni outdoor in Paraguay, Madagascar e Marocco mettono a rischio soprattutto gli ecosistemi locali, le coltivazioni indoor sono dannose soprattutto a causa dell’immenso consumo di energia: secondo le Nazioni Unite, la coltivazione indoor consuma da sedici a cento volte più energia rispetto a quella outdoor. Uno spinello con cannabis indoor ha quindi un’impronta di CO2 maggiore rispetto a una tazza di caffè.
Cocaina: disboscamento della foresta pluviale
Secondo le Nazioni Unite, l’impronta del CO2 della cocaina è trenta volte maggiore a quella del cacao e 2600 volte maggiore a quella dello zucchero. Non sono però solo le emissioni a riflettersi negativamente sul bilancio ecologico di questa droga: il disboscamento della foresta pluviale e l’inquinamento del suolo, dell’acqua e dell’aria con sostanze chimiche tossiche sono un ulteriore importante fattore.
La cocaina viene prodotta soprattutto in Bolivia, Columbia e Perù. Queste tre nazioni sudamericane fanno parte dei Paesi con la maggiore biodiversità a livello mondiale. Il primo passo nella produzione della cocaina è la coltivazione delle piante di coca. Queste piante necessitano di molto spazio. Alcuni studi effettuati in Colombia mostrano che l’impatto ambientale maggiore è causato dallo sfruttamento dei boschi come superficie di coltivazione per le piante di coca. Dal 2001, in questo Paese sudamericano sono stati disboscati più di 300 000 ettari di bosco per far spazio alle piantagioni di coca, ossia una superficie due volte maggiore rispetto a quella del Canton Zurigo. Il bosco costituisce però lo spazio vitale di numerose specie di piante e animali e contribuisce in maniera vitale allo smaltimento della CO2 nell’atmosfera.
Nella fase di produzione successiva, le piante di coca vengono trattate in laboratorio con sostanze chimiche come ammoniaca, acetone e acido cloridrico. Gli scienziati stimano che milioni e milioni di litri di queste sostanze finiscono nel suolo e nei fiumi con conseguenze devastanti per la flora e la fauna: secondo un rapporto dell’UE, nei fiumi inquinati con queste sostanze non vivono più né piante né animali.
A livello mondiale, viene attualmente prodotta una quantità di cocaina mai vista prima. Gli svizzeri sono tra i primi della classifica nel consumo di questa sostanza.
Ecstasy: una quantità immensa di rifiuti chimici
Una materia prima importante nella produzione di ecstasy è il safrolo, un estratto oleoso che viene ricavato dagli alberi di sassofrasso o di Mreah Prew Phnom. Quest’ultimo cresce in alcune zone dell’America e in Cambogia.
Per ottenere l’olio, l’albero deve essere abbattuto e le radici devono essere macinate e in seguito cotte sul fuoco. Per ogni albero di sassofrasso abbattuto, devono essere abbattuti altri sei alberi da usare come legna da ardere. Gli esperti di biodiversità avvertono: se la produzione in Cambogia continuerà a questo ritmo, quest’albero in via di estinzione potrebbe scomparire nel giro di cinque anni. Nonostante il governo della Cambogia abbia proibito l’abbattimento di questi alberi già ben vent’anni fa, la produzione di safrolo cresce costantemente.
Nella fase successiva, l‘ecstasy vera e propria viene prodotta in laboratorio. Per la produzione vengono impiegate sostanze chimiche tossiche come idrossido di sodio, acido cloridrico e acetone. Secondo le stime dell’istituto olandese di ricerca sulle acque (KWR), nel 2017 circa 7000 tonnellate di queste sostanze sono state abbandonate illegalmente in barili o riversate nel suolo e nei fiumi. Per ogni chilo di ecstasy vengono prodotti dai 5 ai 30 chili di rifiuti tossici.
Olanda e Belgio fanno parte delle più importanti nazioni di produzione a livello mondiale. Negli ultimi anni, Thailandia, Laos e Myanmar hanno però guadagnato terreno. I rappresentanti delle Nazioni Unite parlano di una «catastrofe per l’ambiente e la salute».