Roberto Bottini, responsabile di Falò, al quotidiano di Muzzano: «Da due giorni la principale preoccupazione del CdT sembra essere il nostro lavoro. Ma nemmeno una telefonata»
LUGANO - Dure critiche arrivano oggi dalla RSI che si scaglia contro il Corriere del Ticino per gli articoli di ieri e di oggi sul caso Argo. 1. Ma andiamo con ordine. Ieri il giornale ha pubblicato un articolo che minava la credibilità di uno dei teste nel caso Argo 1, accusato di percepire una rendità di invalidità in Italia. Oggi un secondo pezzo, dal tenore quasi identico. Sempre contro un altro informatore definito un possibile «insider di Unia». Quanto pubblicato dal Corriere del Ticino in questi due giorni sul caso dell'agenzia di sicurezza sta facendo discutere.
A intervenire sull'operato del quotidiano di Muzzano, in primis, è stata la Procura che, ieri, ha smentito le prime indiscrezioni definendo «attendibile» il testimone, e smentendo pure l'esistenza di un dossier sul soggetto in questione e l'apertura di un'inchiesta sulla sua credibilità.
Le critiche da Falò - A storcere il naso, oggi è stato invece Roberto Bottini, responsabile di Falò, che i due teste "screditati" dal quotidiano li ha sentiti per confezionare un'inchiesta andata in onda nei giorni scorsi. In un lungo post, Bottini si rivolge al CdT senza mezzi termini criticando sia la mancata menzione, sull'edizione odierna, della smentita della Procura, sia una certa insistenza contro l'operato del programma Rsi.
«Non una telefonata» - «Sono due giorni che la principale preoccupazione del Corriere del Ticino sembra essere il lavoro di Falò - scrive Bottini su Facebook -. Il giornale sembra interrogarsi su come abbiamo condotto l’inchiesta ARGO 1, in relazione all’attendibilità delle nostre fonti. Il fatto ci lusinga e ci stupisce. Ci lusinga perché pensavamo che negli ultimi due giorni ci fossero delle notizie più importanti che meritassero il titolo d’apertura del principale quotidiano ticinese, per limitarci al caso Argo 1 la decisione della commissione della gestione di chiedere l’istituzione di una commissione parlamentare d ’inchiesta».
Non manca la critica all'atteggiamento giornalistico nel redigere i due articoli: «Ci stupisce - prosegue il post - perché visto che il tema degli articoli riguarda il nostro modo di lavorare ci saremmo almeno aspettati una telefonata, come avviene solitamente in questi casi almeno per verifica. Se la chiamata fosse arrivata avremmo potuto evitare agli amici del Corriere di pubblicare alcune inesattezze relative in particolare all’identità delle nostre fonti e alla loro attendibilità. Ciò non è accaduto e così ieri è toccato alla Magistratura smentire il CdT (fatto neppure citato dal quotidiano di Muzzano) confermandoci l’attendibilità del teste Mario Morini, tanto più che dichiarazioni analoghe alle sue sono state rilasciate da altre 7 persone».
Quindi sul pezzo pubblicato oggi: «In merito alle speculazioni pubblicate sull’ edizione di oggi – Falò cassa di risonanza degli infiltrati di Unia che ci avrebbero fornito documenti fondamentali – avremmo potuto spiegare al Corriere almeno altri due fatti: il signor A. C. - di cui il Corriere fa inspiegabilmente il nome, manco fosse un delinquente, tanto più che ci risulta essere un serio professionista - non ha svolto nessun ruolo rilevante nell’inchiesta condotta da Falò su Argo 1; UNIA invece si esprime per voce del sindacalista Oswaldo Formato che fa parte delle persone intervistate nell’inchiesta, come normale vista la natura delle irregolarità emerse e mai smentite, durante la gestione di Argo 1: dumping, pagamenti in nero, orari di lavoro contraffatti».
Dalla critica allo scherno il passo è breve: «A questo punto, non siamo più soltanto lusingati o stupiti, ma da giornalisti diventiamo anche curiosi: chissà se nell’edizione di domani il Corriere indovinerà almeno una delle 20 fonti - non tutte, diamo un aiutino, di carattere sindacale – cui abbiamo attinto prima di pubblicare la nostra inchiesta? Mi permetto di suggerire ai colleghi di non telefonarci per chiederci la loro identità, perché le fonti sono sacre e non si rivelano neanche sotto tortura. Ma almeno questo forse il CdT lo sa?».