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SENZA TRUCCO SENZA ING…ARNO«Brehme, che tristezza»

21.02.24 - 08:30
Arno Rossini: «Brehme? Era diverso»
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«Brehme, che tristezza»
Arno Rossini: «Brehme? Era diverso»
«In tanti parlano delle sue qualità, della sua bravura in campo. Tutti ricordano però il suo cuore, il piacere di stare insieme».
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MONACO DI BAVIERA - Stupore misto a grande tristezza. Questo ha pervaso il mondo del calcio per l’improvvisa scomparsa di Andy Brehme, ex colonna del Bayern Monaco, uomo simbolo del Kaiserslautern e idolo dei tifosi dell’Inter. Un campione che ha imperversato sulle fasce per tutti gli anni ‘80 e fino a metà dei ‘90 e che, oltre che per le giocate, ha fatto innamorare i tifosi per i suoi sorrisi.

«Era fortissimo - ha raccontato Arno Rossini - Era calcisticamente intelligente e abilissimo. Ma io lo ricordo soprattutto per il suo carattere».

Duro, come quello dei tedeschi delle “due Germanie”. Mai domo, come le genti di Amburgo.
«Al contrario. Andreas era un tedesco atipico. Aveva una grande etica lavorativa, è vero, ma poi era molto caldo, aperto. Era latino. E basta guardarsi intorno, ascoltare le voci di quelli che lo hanno incrociato durante la carriera, per averne la prova. In tanti parlano delle sue qualità, della sua bravura in campo. Tutti ricordano però le sue battute, il suo cuore, il piacere di stare insieme. La notizia della sua morte mi ha molto colpito, mi ha molto rattristato».

Il Brehme calciatore è spesso ricordato per due fatti. Lo scudetto in Italia con l’Inter del Trap e il rigore nella finale del Mondiale 1990.
«Fu un elemento cardine dei nerazzurri. A quell’epoca i terzini non avevano grande classe, lui però era diverso. Per certi versi ha cambiato il ruolo. L’ho seguito spesso dal vivo, aveva un controllo palla, una visione di gioco, una pulizia di movimenti che in pochi, anche in altri ruoli, avevano in quegli anni. Era un ballerino del rettangolo verde. Aveva classe, oltre alla testa. Lavorava sodo e sapeva farsi voler bene. Non è un caso se, nel 2005-06, quando andò allo Stoccarda, Trapattoni lo volle come vice».

Classe, sorrisi e… calci piazzati.
«Quel rigore negli ultimi minuti della finale con l’Argentina... Lui era mancino ma spesso in campo usava anche il destro. Dagli undici metri, in quell’occasione, calciò proprio di destro. Potete immaginare quanto potesse pesare quella palla». 

Di fronte aveva il para-rigori Sergio Goycochea…
«Basso, forte, angolato: tirò perfettamente, dimostrando una freddezza fuori dal comune. I compagni si fidarono di lui, che era uno specialista, e lui, come sempre, ripagò la loro fiducia». 

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