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CINA / AUSTRALIAAustraliano condannato a morte in Cina, non presenterà appello

21.02.24 - 10:09
L'accademico pro-democrazia Yang Hengjun, condannato a morte in Cina per spionaggio, spiega il suo no al ricorso.
Afp
Fonte ats ans
Australiano condannato a morte in Cina, non presenterà appello
L'accademico pro-democrazia Yang Hengjun, condannato a morte in Cina per spionaggio, spiega il suo no al ricorso.

SYDNEY - La famiglia del cittadino australiano Yang Hengjun, accademico e blogger pro-democrazia, non presenterà appello contro la condanna a morte, perché, ha dichiarato, «Yang non ha alcuna fiducia nel sistema dei tribunali cinesi, e il suo cattivo stato di salute gli rende impossibile proseguire nella sua battaglia legale».

Questo mese un tribunale di Pechino ha scioccato i sostenitori del dott. Yang e la sua famiglia, quando lo ha condannato a morte per spionaggio - anche se la pena potrebbe essere commutata in ergastolo dopo due anni di buona condotta. Yang aveva tempo fino al 15 febbraio per fare appello.

Yang Hengjun e il governo australiano hanno ripetutamente respinto le accuse di spionaggio, ma in un comunicato familiari e amici stretti riportano che l'attivista pro democrazia ha comunque deciso di rinunciare al diritto di appello. «Nonostante la sua innocenza, nonostante non sia stata mai presentata l'ombra di una prova contro di lui, vi sono due ragioni pratiche per cui sarebbe di detrimento alla sua salute», dichiara il comunicato.

«Primo, non vi è ragione di credere che il sistema che ha attuato la sua tortura prolungata e ha costruito accuse contro di lui, sia capace di rimediare all'ingiustizia della sua sentenza. Secondo, avviare un appello ritarderebbe la possibilità di cure mediche adeguate e supervisionate, dopo cinque anni di trattamento inumano e di estrema negligenza medica», prosegue il comunicato.

Yang aveva riferito ai suoi sostenitori lo scorso anno di avere una grossa ciste in un rene e che temeva di morire perché non poteva accedere a cure mediche. Nel loro comunicato, la famiglia e i sostenitori dichiarano che «le dure condizioni nel centro di detenzione, tra cui restare legato a una sedia, la privazione di sonno forzata e la mancanza di farmaci, hanno distrutto la sua salute e quindi avviare un appello allontanerebbe le possibilità di assistenza medica».

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