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Negli Usa è boom di crimini antisemiti

STATI UNITINegli Usa è boom di crimini antisemiti

27.11.23 - 06:30
Conversazione con Scott Richman, a capo della sezione New York-New Jersey dell’Anti-Defamation League
keystone-sda.ch (Andres Kudacki)
Negli Usa è boom di crimini antisemiti
Conversazione con Scott Richman, a capo della sezione New York-New Jersey dell’Anti-Defamation League

WASHINGTON - Gli Stati Uniti registrano un preoccupante picco di crimini d’odio e antisemitismo. Secondo il Centro sull’estremismo dell’Anti-Defamation League (ADL), dall’inizio del conflitto tra Hamas e Israele, gli episodi sono aumentati del 316% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Solo nel primo mese di guerra - ovvero dal 7 ottobre – le aggressioni fisiche, quelle verbali e gli atti vandalici sono stati ben 832. Di essi, 124 sono avvenuti in un ateneo americano.

Secondo i rilievi dell’ADL, almeno 200 delle 653 manifestazioni antisraeliane che hanno avuto luogo in Usa avevano di fondo il sostegno di Hamas oppure un implicito appoggio alla violenza contro gli ebrei.

Le richieste di aiuto

«Siamo letteralmente sopraffatti dagli incidenti in questo momento. Le persone chiedono aiuto in tanti modi diversi», conferma Scott Richman che dirige la sezione New York-New Jersey dell’Adl. La sua organizzazione, fondata nel 1913, è la più importante al mondo dedicata a combattere l’antisemitismo in ogni sua forma. «Il nostro ultimo rapporto, mostra come gli incidenti antisemiti siano quadruplicati rispetto all'anno scorso in questo periodo», ci dice quando lo sentiamo via Zoom.

Un clima avvelenato, sottolinea Scott, che spiega come i crimini d’odio abbiano ripercussioni su tutta la comunità. «Ogni membro del gruppo ha paura, sente di essere sotto attaccato, terrorizzato».

Tra gli incidenti registrati dall’ADL ci sono aggressioni fisiche. «Ma ci sono anche attacchi verbali. Ad esempio, ci sono persone che a seguito della guerra si avvicinano urlando insulti, accusando le persone di genocidio o di infanticidio». Ma non solo. «Ci sono anche atti di vandalismo, graffiti con svastiche che vengono dipinti negli Stati Uniti in continuazione. Nelle nostre scuole è diventato abbastanza normale che le persone disegnino il simbolo della svastica». 

Scott ci racconta che molte delle denunce di vandalismo riguardano gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. «La gente strappa i poster o i manifesti con le immagini di queste persone. Molti negano che i prigionieri siano stati realmente presi nonostante il fatto che ci siano filmati che lo testimonino, oltre agli ostaggi già rilasciati».

Quello che succede sui social

Ma le aggressioni verbali sono veicolate anche e soprattutto dai social media, dove l’incitamento all’odio antisemita ma anche islamofobo hanno raggiunto livelli allarmanti da quando è scoppiato il conflitto tra Israele e Hamas. Basti pensare al boom del vergognoso hashtag #HitlerWasRight (Hitler aveva ragione) apparso su X e accompagnato da evidenti incitamenti alla violenza contro gli ebrei. Ma allo stesso tempo, prolifica anche l’hashtag #DeathtoMuslims (morte ai musulmani) come ha rilevato il New York Times.

I social, dice Scott, sono mezzi democratici che danno voce a chiunque, anche a chi semina odio. «Per Facebook, Snapchat, Instagram, TikTok, LinkedIn, X sembra molto difficile essere in grado di applicare pienamente le loro politiche». Ma, suggerisce il direttore, ognuno può fare la sua parte. «Quando vediamo odio e disinformazione, possiamo segnalarlo. Nessuno vuole che il proprio account venga sospeso. Forse così la gente ci penserà due volte».

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