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Se pendolare fa rima con molestie

In Giappone, la “mano morta” sui mezzi pubblici si è trasformata in una preoccupante emergenza sociale.
In Giappone, la “mano morta” sui mezzi pubblici si è trasformata in una preoccupante emergenza sociale.

Una donna viaggia su di una linea della metropolitana di Tokyo. È l'ora di punta e le persone si trovano ammassate anche senza volerlo. Uno sconosciuto la segue, allunga le mani per palpeggiarla e molestarla sessualmente e filmare l'atto, per poi venderlo, magari, a qualche sito di video pornografici. Nella maggior parte dei casi la donna sopporta, in Giappone è visto come un atto di grande maleducazione parlare a voce alta e in maniera concitata in un luogo pubblico, e solo il 10% di loro sporge denuncia.

Imago/ZumaWire

 

Il fenomeno dello chikan

Se si prende l'autobus e la metropolitana, in Giappone, non è raro venire molestate dai professionisti di quella che un tempo veniva definita 'la mano morta'. Succede dovunque, è vero, e per le donne non è mai semplice sviare da comportamenti inopportuni, se non violenti, di cui sono vittime eppure, solo nel Paese del Sol Levante questo genere di molestia viene incasellata in una categoria specifica che va sotto il nome di chikan che, letteralmente, significa 'molestatore' e descrive sia la tipologia di uomo che molesta le donne sui mezzi pubblici sia la specificità della molestia che avviene, appunto, sui treni, o sugli autobus. Lo chikan entra in azione sui mezzi pubblici compiendo una serie di molestie sessuali, dal palpeggiamento allo sfregamento delle parti intime, fino al girare video o scattare fotografie sotto la gonna della vittima di turno.

Questi filmati hanno un mercato molto fiorente in diversi paesi asiatici, dalla Cina fino alla Corea del Sud, costituendo uno specifico genere pornografico, sia cinematografico che delle opere 'hentai', ossia anime e manga dal contenuto sessuale esplicito. Come raccontato in intervista dalla quindicenne Takako, nome di fantasia, nell'articolo pubblicato sul sito della Bbc il 7 giugno scorso, la giovane ha sentito una mano che le premeva da dietro e che iniziava a palpeggiarla. «È stato allora-dice la studentessa-che ho capito che si trattava di molestia ma non potevo fare nulla al riguardo», perché il molestatore si era già dileguato tra la folla mentre Takako, umiliata e offesa, si recava in lacrime a scuola. Purtroppo, simili episodi di violenza si verificarono quasi ogni giorno per oltre un anno, facendo sentire la giovane «come se non ci fosse speranza nella mia vita».

Se la molestia finisce sul web

Di recente del fenomeno dei chikan si è occupata anche l'unità investigativa della Bbc, la Bbc eye, che ha condotto una indagine lunga un anno proprio su alcuni siti pornografici che pubblicano video di molestie compiute nei confronti di donne che viaggiano sui mezzi pubblici.  Nello specifico, i siti sui quali si è concentrata l'attività giornalistica della Bbc sono DingBuZu, che in cinese significa «non posso tenerlo», Chihan e Jieshe che appartengono a un uomo conosciuto con il nome di Uncle Qi, o 'Maomi', in cinese gattino, ma il cui vero nome è Tang Zhuoran e che viene visto come un guru nei siti pornografici di cui è proprietario e autore di tantissimi video chikan.

Alcuni di questi filmati costano meno di un dollaro ed è anche possibile per gli utenti ordinare dei video su di una specifica forma di molestia. Il lavoro svolto dai giornalisti della Bbc è stato molto articolato e meticoloso ed ha preso le mosse, come spiegato nel loro articolo, da un gruppo Telegram, con oltre quattro mila iscritti, i cui membri si scambiano anche consigli su come abusare sessualmente le donne. Un giorno, uno degli utenti ha raccontato di aver abusato di una donna in compagnia di un uomo chiamato 'zio Qi', un elemento che si è rivelato molto importante per l'inchiesta giornalistica dato che, seguendo un conto paypal che riceveva pagamenti in yen, e inserendo tale nominativo su Google Contacts si è arrivati al nome di un cantante rock cinese conosciuto con il nome di Noctis Zang il quale aveva di sicuro navigato in siti chikan.

Successivamente, grazie alle confessioni fatte dal cantante al giornalista della Bbc, che agiva cotto copertura, si è scoperto che dietro il sito web DingBuZhu vi fosse un uomo cinese che abita a Tokyo, noto con il nome di Maomi che, a detta di chi lo conosce, «è innocuo ma cauto su tutto e, a volte, reagisce in modo eccessivo». Quando il giornalista britannico che operava sotto il falso nome di Ian, è riuscito a incontrarlo si è reso conto che si trattava di un ragazzo molto giovane, all'incirca ventisette anni, e dall'aria tranquilla, a dispetto delle attività illegali portate avanti con l'impiego di una squadra di quindici persone che operavano tra la Cina e il Giappone. Come confessato dal giovane “ricevevo dai 30 ai 100 video al mese che caricavo sui tre siti di mia proprietà. Il nostro fatturato giornaliero è di circa 5'000-10'000 Yuan cinesi, pari a 700-1'400 dollari).

Imago/Mario Aurich

Un'emergenza sociale

L'indagine della Bbc ha il merito di aver svelato e denunciato tale tipo di molestie di cui, forse, in Occidente non si è molto al corrente, ma che nei Paesi asiatici, ed in Giappone in particolare, costituisce una vera e propria emergenza sociale tanto che sono stati istituiti, come nella linea Saikyō, dei vagoni per sole donne. Inoltre il governo nipponico ha inasprito le sanzioni penali previste per tale tipo di reato e ha incrementato le misure di sicurezza, quali le telecamere di sorveglianza, anche se il problema è ben lontano dall'essere risolto. Secondo un  rapporto del governo giapponese del 2016, un terzo delle donne nipponiche ha subito molestie sul posto di lavoro.

I comportamenti inopportuni dei colleghi di sesso maschile vanno dai commenti sul loro aspetto fisico agli inviti pressanti per avere un appuntamento, fino ai contatti sessuali indesiderati. Il 30% delle intervistate, un campione di oltre nove mila donne tra i 25 ed i 44 anni, ha affermato di essere stata molestata sessualmente sul posto di lavoro e nel 24,1% dei casi i responsabili sono stati i datori di lavoro o i propri superiori. Il 63% delle vittime ha altresì dichiarato di non aver sporto alcune denuncia, mentre una donna su dieci è stata demansionata dopo aver denunciato l'episodio di violenza di cui era stata vittima.

Imago/Sipa Usa

Se essere vittima è un tabù

In Giappone il fenomeno delle molestie sessuali è aggravato dall'atteggiamento culturale diffuso nella società che lo considera ancora un tabù. Il caso della giornalista Shiori Ito che, nel maggio del 2017, ebbe il coraggio di denunciare pubblicamente il proprio collega Noriyuki Yamaguchi per stupro ha squarciato il profondo velo di ipocrisia che copre una realtà così tristemente diffusa ad ogni livello della società giapponese. Come affermato dalla stessa Ito nel documentario prodotto dalla Bbc 'Japan's Secret Shame', «in Giappone gli stupri tendono ad essere considerati come qualcosa che succede solo nei film».

Come dichiarato alla giornalista in una intervista alla rivista Elle «quando ho deciso di andare dalla polizia mi sono tornate in mente tantissime altre molestie che avevo subito nella mia vita: da liceali essere palpeggiate sul treno era una esperienza quotidiana. Una parte di me ha pensato: forse essere una donna in Giappone significa questo, accettare e andare avanti. Mi sono sentita dire che se fossi stata una vera giapponese non avrei parlato di queste cose imbarazzanti».

Imago/Mario Aurich

La denuncia avanzata dalla giornalista, anche se si è conclusa con l'archiviazione del caso, è stato un atto rivoluzionario ed ha avuto il merito di porre la questione della sicurezza delle donne in primo piano, dopo essere stata trascurata tanto a lungo. Il sessismo imperante nella società giapponese, accompagnamento dal senso di vergogna così diffuso nella cultura asiatica, fa si che solo di recente si stia prendendo posizione contro fenomeni drammatici come le violenze domestiche o contro i minori, la cui esistenza prima veniva taciuta.

L'abuso, che fino a epoca recente, era vista come una questione meramente privata, ora viene affrontata dai media e dalle istituzioni e sono più che centuplicate le denunce contro ogni forma di violenza, dai maltrattamenti fisici alle violenze sessuali. Un cambiamento, quindi, è in atto nella società giapponese anche se i suoi effetti sono ancora troppo labili per essere percepiti e per far sentire le bambine, ragazze e donne tutelate e al sicuro nel proprio Paese che ha, paradossalmente, la nomea di essere uno dei più sicuri al mondo. 


Appendice 1

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Imago/Mario Aurich

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