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Essere un "uomo bianco", nel corpo o nella mente

CINEMAEssere un "uomo bianco", nel corpo o nella mente

15.04.24 - 06:30
Ben Donateo e Michel Passos Zylberberg portano a Visions du Réel il documentario "Muzungu" e ciò che cambia nelle tribù Masai in Kenya
BEN DONATEO - MICHEL PASSOS ZYLBERBERG
I registi in Kenya
I registi in Kenya
Essere un "uomo bianco", nel corpo o nella mente
Ben Donateo e Michel Passos Zylberberg portano a Visions du Réel il documentario "Muzungu" e ciò che cambia nelle tribù Masai in Kenya

NYON - Visions du Réel è uno dei più importanti festival di cinema documentario a livello nazionale. In una proposta di livello altissimo, sia per quanto riguarda il concorso internazionale che quello nazionale, brilla un piccolo film ticinese: "Muzungu", realizzato da Ben Donateo e Michel Passos Zylberberg. La prima mondiale ha avuto luogo venerdì pomeriggio al Capitole Leone di Nyon alla presenza dei registi, ma sarà proiettato una seconda volta martedì 16 aprile all'Usine à Gaz 2, sempre della città vodese che ospita la kermesse.

Il primo viaggio e l'ispiratore - Il film, spiega Ben, nasce da un viaggio che Michel ha compiuto qualche anno fa in Kenya. Da questa esperienza è emersa prepotentemente una figura, quella di Kanai Jackson. È il figlio di un capo Masai, «un personaggio molto intraprendente, molto poco "africano" da un lato ma affezionato alla tradizione». Parlando con Michel è nata l'idea di raccontare le usanze Masai, che con le nuove generazioni si stanno progressivamente perdendo. «Il film si basa su questo: sul contrasto tra chi è quasi del tutto occidentalizzato e coloro che, invece, sono ancorati alle tradizioni - alla ricerca dell'acqua, degli animali, gli spostamenti...» spiega Ben. Michel aggiunge: «Con Kanai ho avuto subito un feeling bellissimo. Mi ha seguito mostrandomi le tradizioni e i miglioramenti che cercava d'introdurre. È un uomo molto intraprendente e intelligente. Frequentandolo ho capito che con lui avrei potuto mostrare uno stile di vita tanto diverso dal nostro e autentico». Le tribù Masai non sono solitamente accessibili ai turisti, aggiunge, «ma lui ci ha permesso di entrare in quel mondo».

L'idea di base - Il lavoro sul campo di Michel si è concretizzato in un ottimo reportage fotografico e con la proposta di un documentario da realizzare «anche in maniera un po' spartana» ma con piena indipendenza e libertà creativa. Accettata la proposta insieme alla produttrice Jenny Covelli, una volta giunti sul posto, aggiunge Ben, l'idea iniziale (il rapporto tra Michel e Kanai) si è rivelata impossibile da realizzare. «Ci ha raccontato un po' le tradizioni, le problematiche, ma ha avuto ben poco tempo per noi». Così il film si è sviluppato in un modo diverso, diventando un'osservazione di una quotidianità che agli occhi di un pubblico europeo è lontanissima. «C'è un personaggio che cerca l'acqua - visto che le azioni dell'Occidente hanno portato l'Africa ad affrontare siccità ben più marcate di quelle che sperimentiamo noi. Seguiamo un ragazzino che va a scuola, impegnandosi giorno dopo giorno». Michel l'aveva già conosciuto nel primo viaggio e ne era stato colpito. «È stato bello riallacciare quei rapporti e vedere che, da tanti singoli elementi, si stava creando una visione complessiva».

Il narratore sembra provenire direttamente da Omero: «Cieco, un po' onirico, che ci ha dato accenni alla storia». Una scelta registica è stata quella di realizzare in pellicola le scene di flashback, «per aumentare il contrasto tra passato, presente e futuro», aggiunge Ben.

Il battesimo Masai - Il viaggio in Kenya si è rivelato un'esperienza di vita, per entrambi. L'accesso alla tribù è stato permesso dai buoni rapporti con il figlio del capo, ma è andato oltre: «Siamo stati battezzati con il rito Masai, così da poter partecipare alle loro cerimonie», spiegano. Si è trattato di un rito di purificazione, che ha permesso loro di liberarsi da scorie e negatività. Insieme a loro c'è una capra, un «elemento ricorrente» in questa giornata intera passata tra battesimo, riprese, macellazione dell'animale e suo consumo. «Deve essere mangiata completamente, con effetti collaterali per Michel molto divertenti», scherza Ben.

I due modi di essere "uomo bianco" - L'operazione compiuta dai due autori ticinesi (insieme a Elia Misesti, che li ha aiutati nelle riprese sul campo) non era priva di un pericolo: quello di osservare questo universo con gli occhi di un occidentale. «Eravamo ovviamente consci del fatto che, da uomini bianchi, avremmo potuto toccare il nervo scoperto del colonialismo», conferma Ben. Il rimedio è stato quello di «prendere le storie che avevamo per le mani e raccontarle il più oggettivamente possibile». Non è un caso che il film s'intitoli "Muzungu": «Significa "uomo bianco" ed è come i membri della tribù ci chiamavano. Però la cosa di cui ci siamo resi conto, molto forte, è che loro stessi sono diventati quasi "muzungu" in quel territorio». Una conseguenza del processo forse irreversibile di occidentalizzazione di cui parlavamo prima. «Per noi è stato lampante che si trovassero quasi stranieri in terra propria».

La magia spontanea del racconto - Siamo di fronte a un lavoro di documentazione, di testimonianza. Ma non sono mancati i momenti di grande bellezza. «Due donne attorno al fuoco che raccontano una storia al villaggio, prima cantandola e poi narrandola». La magia non viene mai forzata, nasce dall'osservazione e dal montaggio. «Abbiamo cercato d'intervenire il meno possibile nelle loro quotidianità».

Prima che sia troppo tardi - Tre dei temi principali del documentario sono l'impatto pesante del cambiamento climatico, ma anche lo sradicamento e il cambiamento dei costumi. La mutazione delle consuetudini, in realtà, non è sempre negativa - almeno secondo i nostri standard. Riguarda l'educazione dei bambini, la possibilità per le donne di lavorare, una sfida a una cultura maschilista e patriarcale dominante. Ben e Michel sono degli osservatori privilegiati di un'epoca di transizione per un'intera civiltà. «Lo si vede con i bambini che frequentano la scuola», sottolinea Michel. «Tanti di loro non impareranno bene il "maa", la loro lingua tradizionale. Hanno già l'inglese, non la vogliono parlare». "Muzungu" ha poi un valore etnografico, nato per diretta volontà di Kanai Jackson: la documentazione della lingua maa, cristallizzata in un prodotto audiovisivo prima che vada perduta per sempre.

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