La superstar pop ritorna con un nuovo disco un po' di protesta e molto electro ma con poco mordente
È dura la vita della pop-star: azzecchi un singolone, azzecchi un album (pieno di singoloni) e poi un altro (pure di più). Quando sei sul tetto del mondo, alla cima della parabola, poi che fai?
O ti reinventi completamente, butti tutto alle ortiche e provi a ricostruirti da zero (chiedetelo a Madonna quante volte lo ha fatto) oppure continui a battere il ferro caldo sperando che le scintille che volano in giro siano sufficienti a riempire (ancora) gli stadi e il conto in banca. Katy Perry che dopo “Prism” e “American Dream” si trova proprio in questa posizione con il nuovissimo “Witness” ha provato per la via di mezzo fra le queste due con tutti i rischi del caso.
Cambia radicalmente il look, addio parrucche varie e benvenuto taglio a fatina, e pure il messaggio non più spensierato ma politico e impegnato. Quello che resta uguale invece è l'attitudine pop dei brani, forse più elettronici e house che in passato (avete in mente “Dark Horse”, ecco tipo quella) ma – come dimostrano anche i singoli usciti da febbraio a oggi– manca quell'incisività esplosiva che era un po' il suo marchio di fabbrica.
Ci rivediamo al prossimo... cambio di pelle?