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CANTONEIl nipote che uccise la nonna: «Volevo solo minacciarla, ma poi l’ho colpita»

11.12.19 - 11:00
Si è aperto il processo per il delitto di Caslano del luglio 2018. Fu un gesto premeditato?
TiPress - foto d'archivio
La villetta in cui la donna è stata uccisa dal nipote il 6 luglio 2018, a Caslano.
La villetta in cui la donna è stata uccisa dal nipote il 6 luglio 2018, a Caslano.
Il nipote che uccise la nonna: «Volevo solo minacciarla, ma poi l’ho colpita»
Si è aperto il processo per il delitto di Caslano del luglio 2018. Fu un gesto premeditato?

LUGANO - Era notte fonda, quando quel 6 luglio del 2018 a Caslano era entrato nell’abitazione della nonna con l’intenzione di chiederle duecento franchi che gli servivano per acquistare cocaina. Ma prima di bussare alla porta della camera da letto, era sceso in cantina a prendere un martello. «Volevo soltanto minacciarla, ma quando mi ha detto di “no” l’ho colpita».

È quanto racconta il nipote ventiquattrenne, che da oggi compare davanti a una Corte delle Assise criminali di Lugano per aver ucciso la nonna. In aula l’imputato - dall’aspetto giovanissimo, vestito con una felpa con cappuccio e un paio di jeans - dà risposte stringate in svizzero tedesco (tradotte dall’interprete) e si mostra come una persona chiusa. «Sono così per la situazione in cui mi trovo» spiega al giudice Marco Villa.

Il ventiquattrenne - difeso dall’avvocato Daniel Ponti - ammette i fatti. Ma la Corte sta cercando di fare luce sull’eventuale premeditazione del gesto. Perché quella notte non si è limitato alle minacce? Perché si era innanzitutto procurato un martello? «Volevo prendere dell’alcol, ma poi mi è venuta l’idea del martello. Alla sua risposta negativa mi sono arrabbiato, sono andato fuori di testa, anche perché ero sotto l’influsso dell’alcol» spiega l’imputato.

Due martellate da dietro, poi almeno altre tredici quando la donna era ormai a terra. Lo si evince dall’atto d’accusa firmato dalla procuratrice Margherita Lanzillo. «L’ho colpita tante volte perché mi sono arrabbiato, ma ricordo solo quattro colpi».

La questione dei soldi - Ma si trattava effettivamente di una questione di soldi? Anche in aula l’imputato sostiene che ne aveva bisogno per acquistare della cocaina. Eppure la Corte sottolinea che del denaro c’era anche sul suo conto bancario. E che, a quanto risulta, a casa aveva anche della droga. Dopo il delitto il giovane aveva però lasciato l’abitazione della nonna senza portare via nulla. E una volta rientrato a casa aveva poi tentato di organizzare un incontro con una prostituta. Aveva forse dei soldi in casa? «No, non so come l’avrei pagata».

Dopo il martello, il fuoco - Dopo averla colpita più volte con il martello, il ventiquattrenne sapeva che la nonna era morta. E aveva cosparso di benzina il corpo e parte dell’abitazione, appiccando quindi il fuoco: «Ho tentato di cancellare le tracce, con la speranza di non essere scoperto». Ma lui possedeva una chiave della porta d’ingresso. «Sapevo che avrebbe potuto portare a me».

La perizia psichiatrica - La perizia psichiatrica rileva che al momento dei fatti l’imputato soffriva di un lieve ritardo mentale come pure di singoli disturbi dovuti all’uso di cocaina. Per questo è stato ritenuto capace di valutare il carattere illecito del suo agire, ma era lievemente scemata la sua capacità di agire. Il rischio di recidiva sarebbe medio, pertanto viene suggerito un trattamento stazionario.

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