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CANTONEStigma e difficoltà nel reinserimento: la vita (difficile) fuori dal carcere per gli ex detenuti

15.05.23 - 09:02
Una volta lasciate le strutture detentive, gli ex reclusi (colpevoli e non) affrontano i pregiudizi: «Molto complicato rifarsi una vita».
Ti-Press
Stigma e difficoltà nel reinserimento: la vita (difficile) fuori dal carcere per gli ex detenuti
Una volta lasciate le strutture detentive, gli ex reclusi (colpevoli e non) affrontano i pregiudizi: «Molto complicato rifarsi una vita».

BELLINZONA - Il carcere resta sulla pelle degli ex detenuti, come un marchio impresso a vita. Chi vuole provare a ricostruirsi un futuro, infatti, deve fare i conti con uno stigma sociale difficilmente cancellabile. A volte, a prescindere dalla colpevolezza o meno della persona e dal lavoro delle istituzioni.

Sono diverse le difficoltà incontrate da chi termina un periodo di reclusione: «Vanno considerate le singole situazioni», premette Stefano Laffranchini-Deltorchio, direttore delle strutture carcerarie del Ticino. «Se una persona è dedita al “pendolarismo” carcerario, probabilmente non sarà interessato alla questione. Chi, invece, ha un decreto di espulsione e ha dei legami sociali e familiari sul territorio, dovrà riuscire a gestire i rapporti a distanza, senza magari poter mettere più piede in Ticino».
Per chi, invece, risiede e ha qui i suoi centri d’interesse, il discorso è differente. «C’è l’ufficio di assistenza riabilitativa: si occupa del reinserimento della persona nel tessuto sociale.
In ogni caso, vi è un enorme stigmatizzazione ed è, onestamente, molto complicato rifarsi una vita. A prescindere dalla colpevolezza», aggiunge Laffranchini-Deltorchio, portando l’esempio del carcere giudiziario e della presunzione d’innocenza: «Può darsi che una persona, dopo qualche giorno, esca dalla struttura perché il corso delle indagini lo consente- continua - anche in questo caso, il danno reputazionale resta enorme, poiché, dentro la società, c’è comunque la tendenza a dire “se è stato dentro, qualcosa avrà fatto”. A maggior ragione in un territorio non vasto o nei paesi piccoli dove le voci circolano in maniera veloce».

Un grande tema è la ricerca del lavoro. «È più difficile trovare un impiego - spiega il direttore delle strutture carcerarie - è bene sottolineare l’esistenza di operatori sociali che accompagnano le persone in questo percorso. Inoltre, ci sono realtà professionali sensibili e pronte a dare una seconda possibilità».
Serve, però, fare attenzione: «Bisogna, però, non arrivare all’estremo opposto e creare squilibrio a favore degli ex detenuti rispetto a chi ha la fedina penale immacolata. È un delicato equilibrio: garantire le stesse opportunità, senza creare canali privilegiati».

Come fare, quindi, per “avvicinare” il carcere alla società? «Ci sono diverse richieste da parte di varie realtà, scolaresche comprese, che vogliono visitare le strutture detentive. Ne colgo la portata educativa, ma non si può non considerare la componente voyeuristica. E io, sono chiamato a tutelare le persone presenti qui: non sono da esporre in vetrina». Quindi, non ci sono “giornate aperte” o eventi simili. «Al contrario, spesso mi reco nei licei, nelle scuole e nelle associazioni per parlare delle realtà carcerarie». Le attività ricreative sono svolte da operatori: «Ci rivolgiamo a professionisti perché, in un così delicato percorso di risocializzazione, basta una parola sbagliata o un commento fuoriposto per compromettere gran parte del lavoro».

Infine, un ruolo importante lo svolgono i media: «Comprendo il meccanismo - conclude Laffranchini-Deltorchio - la notizia spesso risiede in quello che un accusato avrebbe commesso e non negli elementi a discolpa. Lo capisco. Purtroppo, pure questo non contribuisce a diminuire lo stigma, specie per i reati più infamanti come quello sessuale».

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