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CANTONESono rimasti in Ticino "per errore", e adesso si ritrovano in un limbo

16.05.22 - 06:30
Il caso di un nucleo famigliare ucraino ospitato a Lamone-Cadempino. E l'appello del padrone di casa Giuseppe Akbas.
Foto di Davide Giordano
Sono rimasti in Ticino "per errore", e adesso si ritrovano in un limbo
Il caso di un nucleo famigliare ucraino ospitato a Lamone-Cadempino. E l'appello del padrone di casa Giuseppe Akbas.
Le nove persone si erano registrate a Chiasso per poi essere attribuite al Canton Obvaldo. Ma non avevano capito nulla. E così, dopo essersi stabilite nel Luganese, vivono una situazione paradossale.

LAMONE-CADEMPINO - Sono stati tra i primi ucraini in fuga dalle bombe russe a essere accolti in Ticino. Ora però si ritrovano coinvolti in un pasticcio burocratico che sta causando grattacapi anche a chi, generosamente, ha scelto di ospitarli. In particolare a Giuseppe Akbas, 52 anni, noto garagista del Luganese, che ha aperto la porta a queste nove persone in uno stabile di sua proprietà a Cadempino. «Questi profughi, secondo la burocrazia, dovrebbero essere trasferiti nel Canton Obvaldo. Qui non hanno diritto né al permesso S né ai sussidi statali. Abbiamo chiesto al Cantone di chiudere un occhio. Invano. Ora abbiamo fatto ricorso tramite un avvocato». 

Quando ancora le regole non erano chiare – Chiudere un occhio. Sì. Perché la famiglia in questione, di cui Tio/20Minuti aveva già riferito in passato, è stata una delle prime a raggiungere la Svizzera. Quando ancora le regole non erano ben chiare. «La famiglia è stata registrata a Chiasso – precisa Akbas –. E lì non aveva capito che si sarebbe dovuta spostare a Obvaldo. Queste persone erano traumatizzate. Infatti poi si erano accampate, spaesate, nei pressi della stazione e grazie a un'attivista erano arrivate a casa nostra».  

Ricongiungimento famigliare – Tre mamme, due nonne e quattro bambini. Hanno bussato a casa di Akbas una sera di circa due mesi fa. «Io mi ero messo a disposizione per ospitare dei profughi. Tutti lo sapevano. Rifarei la stessa scelta. I bimbi nel frattempo vanno anche a scuola, è stato assunto un interprete per il loro apprendimento. Inoltre dall'Ucraina sono arrivati altri due parenti di questa famiglia che adesso vivono a Grancia. È anche una questione di ricongiungimento, queste persone si stanno ricreando una vita qui».  

«Non siamo di fronte a persone che volevano imbrogliare» – Il centro di registrazione di Chiasso è stato chiaro: il nucleo è stato attribuito al Canton Obvaldo. Ecco perché, secondo la legge, in Ticino non ha diritto a ricevere un sostegno economico e nemmeno il permesso di lavoro. «Capisco le regole. Però qui non siamo confrontati con persone che hanno voluto fare le furbe. Semplicemente non avevano capito nulla di quello che era stato loro detto. Quello era un periodo in cui certi meccanismi non erano ancora chiari per nessuno».

«Qualcosa è andato storto» – Milena Follini, l'attivista che ha fatto da tramite tra la famiglia e Akbas, ricorda bene la sera in cui si è trovata di fronte quelle nove persone. «Erano nella zona della stazione di Chiasso. E non sapevano cosa fare. Tramite un conoscente sono arrivate a me. Mi sono recata sul posto e ho chiamato due taxi per portarle dal signor Giuseppe. Il nucleo famigliare però non poteva spostarsi così. Ricordo che gli uomini della Segreteria di Stato della migrazione chiesero un indirizzo. E questo indirizzo, corrispondente a quello di Akbas, è stato comunicato. Nulla è stato fatto di nascosto insomma. Probabilmente non è stato registrato, qualcosa deve essere andato storto involontariamente». 

«Evitiamo un nuovo choc» – Il nucleo famigliare ucraino è ancora ospite di Akbas. E il 52enne vorrebbe che restasse in Ticino. «Vorrei appellarmi al buonsenso delle nostre autorità. Non si creerebbe alcun precedente. Perché è evidente che si tratta di una situazione eccezionale, frutto dei disagi iniziali nell'accoglimento dei profughi. Non è colpa di nessuno, è semplicemente andata così... So per certo che al Canton Obvaldo andrebbe benissimo se la famiglia dovesse restare in Ticino. Trasferirla ancora in un altro contesto rappresenterebbe un nuovo choc. Questa gente si ritroverebbe a dovere imparare il tedesco da zero, dopo averlo già fatto con l'italiano».

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