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CANTONELa sofferenza di chi aspetta un organo: «Non riesco quasi più a uscire di casa»

09.05.22 - 08:30
La 69enne F.L. è in lista per un trapianto di fegato da oltre 200 giorni.
Imago
La sofferenza di chi aspetta un organo: «Non riesco quasi più a uscire di casa»
La 69enne F.L. è in lista per un trapianto di fegato da oltre 200 giorni.
A risentirne sono sia corpo che mente: «Fatico a essere indipendente. Psicologicamente ti butta giù». È però prossimo un voto che potrebbe cambiare le carte in tavola: quello sulla legge sui trapianti.

LOCARNO - Sette mesi in attesa. E ogni giorno, quando in gioco c’è la propria vita, pesa. Lo racconta a Tio/20minuti, attraverso la sua testimonianza, la 69enne F.L.*, attualmente in lista per un trapianto di fegato. Nel frattempo è ormai alle porte, per questa domenica, la votazione sulla modifica della legge sui trapianti, che intende introdurre il principio del consenso implicito per favorire la donazione d’organi.

Ansie e tempi - Aspettare, conferma la paziente, è dura. «L’angoscia è forte, la sento tutti i giorni, e i miei familiari si preoccupano. Sono passati sette mesi e ancora non ho saputo nulla». Tempistiche, queste, che secondo i dati dell'UFSP in Svizzera non sono però anomale, considerando che nel 2021 la metà delle persone che hanno ricevuto un fegato ha atteso più di 299 giorni, e un quarto più di 519. 

Un'altra vita - Con il passare del tempo, sottolinea però F.L., la salute si deteriora: «Spesso non riesco neanche a uscire di casa e a essere indipendente nelle mie attività quotidiane. E già diversi anni prima di andare in pensione non riuscivo più a lavorare». Questo, sottolinea, «psicologicamente ti butta giù».

Dall'epatite al fegato distrutto - I problemi della signora sono però iniziati già nel lontano 2001, quando ha scoperto di avere contratto l’epatite C, che, essendo stata scoperta in stadio avanzato, è poi sfociata in cirrosi epatica. «Mi sono sottoposta a delle cure, ma il mio fegato non ha mai recuperato e si sono formati dei noduli», racconta. Una situazione pesante, soprattutto considerando che la paziente ha sempre condotto una vita sana: «Non fumavo, né bevevo. I dottori credono che io abbia contratto l’epatite tramite una trasfusione di sangue». E il medico che la segue, l’epatologo Andreas Cerny, conferma: «Prima degli anni 90 non esisteva un test per l’Epatite C e la gente donava non sapendo di avere la malattia. Quindi c’è chi ha ricevuto sangue infetto e si è ammalato così». 

«Si può fare di più» - Per quanto concerne il voto sulla donazione di organi, F.L. si dice contenta: «La Svizzera è abbastanza indietro da questo punto di vista. Penso si potrebbe fare di più». 

«Un passo avanti», ma non una garanzia - Cautamente favorevole anche il dottor Cerny. «Il fatto che abbiamo un voto sul tema e che ne parliamo è sicuramente positivo. I Paesi che hanno già il consenso presunto hanno di regola dei tassi di donazione per milione di abitanti più elevati». È vero però, sottolinea, che ci sono altri fattori in gioco. «Le nazioni che hanno un alto tasso di donatori, come ad esempio la Spagna, hanno una filosofia e una dinamica sociale differente rispetto ai Paesi più nordici». Diverso, sia in Spagna che in Italia, e «migliore», è anche «il sistema di gestione dei potenziali donatori in cure intense. Gli specialisti sul posto informano a dovere la famiglia e sono formati nel loro seguito psicologico». Questo è importante, evidenzia l’epatologo, «perché spesso il rifiuto di donare gli organi da parte dei familiari della vittima è un segno che qualcosa è andato storto, durante la fase acuta, nella gestione del lutto». Questi aspetti, chiarisce Cerny, sono indipendenti dal passaggio o meno della modifica di legge, «è dunque difficile prevedere, in caso venga approvata, se le donazioni aumenteranno in maniera sostanziale oppure no». «Ma», conclude, «sarebbe un passo avanti». 

*Nome noto alla redazione.

L’oggetto in voto, in breve
Domenica 15 maggio si voterà sulla modifica della legge sui trapianti. L’idea è quella d'introdurre il modello del consenso presunto per aumentare il numero di donatori d’organi. Attualmente un trapianto è possibile infatti solo se il donatore vi aveva acconsentito in vita (modello del consenso esplicito). Spesso tuttavia nessuno è al corrente della volontà della persona deceduta e i congiunti devono decidere al suo posto. Nella maggior parte dei casi sono contrari alla donazione. Il consenso presunto cambierebbe il sistema: chi non desidera donare i propri organi dovrà dichiarare la propria contrarietà in vita. In mancanza di questa dichiarazione si presumerà che una persona è disposta a donare. I congiunti potranno però rifiutare la donazione se sanno o ritengono che la persona in questione sarebbe stata contraria.

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