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CANTONE«Diffondiamo conoscenza per rompere il silenzio»

26.04.22 - 06:00
Ecco The deep NEsT, dedicato a chi non ha voce. Dal mondo lgbt a quello della disabilità.
Foto di Arianna Lucia Vassere, The deep NEsT
Natascia Bandecchi (a sinistra) con Elizabeth La Rosa.
Natascia Bandecchi (a sinistra) con Elizabeth La Rosa.
«Diffondiamo conoscenza per rompere il silenzio»
Ecco The deep NEsT, dedicato a chi non ha voce. Dal mondo lgbt a quello della disabilità.
Storie di vita raccolte attraverso video interviste. E divulgate attraverso più canali. La co fondatrice Natascia Bandecchi: «Informare è il nostro scopo».

LUGANO - Un nido in cui possono nascere confidenze. È il concetto che sta dietro The deep NEsT, progetto lanciato da Natascia Bandecchi ed Elizabeth La Rosa con un obiettivo nobile: dare voce a chi voce non ce l'ha. Persone legate all'ambiente lgbt, ma non solo. Anche disabili, ad esempio. «Gente che condivide una sensazione di solitudine – sottolinea Bandecchi – a causa di stereotipi e pregiudizi». 

Realizzate video interviste e le diffondete tramite vari canali...
«Ascoltare la storia di Aldina Crespi, 65enne lesbica, volto televisivo noto e amato, può dare forza a chi magari si trova nella stessa situazione e non trova comprensione. Ma può anche dare una visione diversa a chi non conosce questo ambiente».  

A volte una fetta dell'opinione pubblica si irrita quando si ostenta eccessivamente la "diversità". Accade ad esempio per le grandi manifestazioni gay.
«Ma qui non si ostenta nulla. E la parola "diversità" non ci piace. Diciamo che il focus andrebbe posto soprattutto sulla normalizzazione. Il nostro scopo è informare. La "diversità", a ben vedere, sta negli occhi degli altri. In tanti parlano di tolleranza. Ma anche questo è un termine orribile. Cosa ci sarebbe da tollerare?».  

Tra i video anche testimonianze di persone con handicap. Associare il mondo lgbt alla disabilità, e viceversa, non può essere male interpretato?
«In realtà è tutto molto chiaro. Tanta gente soffre in silenzio. Per vari motivi. Perché la rispettiva condizione non rispetta i canoni classici definiti dalla società. L'idea è di provare ad abbattere questi tabù attraverso la conoscenza. Quando hai persone del tuo territorio che ti parlano della loro quotidianità questa conoscenza può essere ancora più concreta». 

Questa è una società che tende a emarginare?
«Spesso sì. Vale anche per le persone esteticamente fuori dagli schemi, o per chi da tempo non ha un posto di lavoro. Il rischio di finire in un limbo c'è. Sono le etichette a farci danni enormi».

Il vostro progetto è stato concepito prima della pandemia, ma sta prendendo corpo soprattutto da qualche mese a questa parte. 
«Sì. Si tratta di un progetto multimediale. La particolarità delle nostre interviste, che realizziamo nel nostro tempo libero, è che la telecamera è puntata sui protagonisti. Si espongono senza alcuna vergogna. È sempre un incontro tra l'ospite e chi si prende il tempo di ascoltare la sua storia. Non forziamo nulla, c'è spontaneità. Finora abbiamo realizzato una decina di interviste».  

Avete anche un sostegno da parte di Infogiovani. Quali sono i sogni per il futuro?
«Andare nelle scuole, parlare con i ragazzi. Perché i disagi nascono dal momento in cui non si parla di certi argomenti. Siamo aperti a qualsiasi proposta da parte degli insegnanti. Anche di scuola media».  

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