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CANTONEMinacce, estorsioni e aggressioni: giovani che fanno paura

01.03.22 - 08:05
Negli ultimi anni la Magistratura dei minorenni ha registrato un aumento degli episodi di violenza giovanile.
Ti Press
Minacce, estorsioni e aggressioni: giovani che fanno paura
Negli ultimi anni la Magistratura dei minorenni ha registrato un aumento degli episodi di violenza giovanile.
Spesso le vittime rinunciano a sporgere denuncia per paura di ritorsioni e perché "non ne vale la pena". Non la pensa così il magistrato Reto Medici: «Si può arrivare fino alla detenzione preventiva». Gli obiettivi rimangono però quelli di educare ed evitare la recidiva.

BELLINZONA - Ennesimo atto di violenza, qualche giorno fa, da parte di un gruppo di giovani. Da nostre informazioni, il "branco" ha dapprima aggredito un coetaneo, per poi prendersela pure con un adulto che, assistendo alla scena, è intervenuto in sua difesa. Uscendo però malconcio dalla zuffa. Il problema legato a questo manipolo di giovani è noto a parecchi residenti della zona in cui sono avvenuti i fatti. Ma non alla Magistratura dei minorenni, che negli ultimi mesi non ha ricevuto particolari segnalazioni o denunce. Contrariamente agli ultimi anni, segnati da un notevole aumento di reati violenti.

In Ticino non esistono gang - I gruppi di giovani “problematici” continuano infatti a esistere. Minacce, aggressioni, risse, ma anche spaccio, danneggiamenti, furti ed estorsioni. La lista è lunga. Parlare di baby gang è tuttavia sbagliato, precisa il Magistrato dei minorenni Reto Medici: «In Ticino non abbiamo gang perché le gang sono vere e proprie organizzazioni criminali, che ad esempio puniscono chi vuole lasciarle. Cosa che da noi non esiste». Meglio quindi usare il termine “banda”, anche se la sostanza cambia poco: si tratta di gruppi a cui piace far andare le mani e, perché no, appropriarsi di oggetti che appartengono alla vittima. 

Denunciare per evitare ritorsioni - La vittima ha rinunciato a sporgere denuncia - supponiamo - per vari e noti motivi. Tempo e risorse da impiegare, paura di ritorsioni e il sentimento che questi giovani non vengano puniti in modo appropriato. Il santo non varrebbe la candela, dunque. Meglio incassare e sperare che non ricapiti più. «Innanzitutto mi sento di smentire la possibilità di ritorsioni, perché se una persona viene intimorita si interviene subito per mettere fine a queste azioni», assicura Reto Medici. È però chiaro che senza una denuncia formale la Magistratura ha le mani legate.

Dalla tirata d'orecchie alla detenzione - Al contrario, con una querela, può scattare un’inchiesta di polizia che chiarisca i fatti: «Sono situazioni che prendo e che la polizia prende sul serio», assicura. Nel dilemma fra lo sporgere denuncia o meno, vi è però anche una terza possibilità, sconosciuta a molti: contattare il Gruppo visione giovani della Polizia cantonale, con il quale avere un colloquio che non sfocia per forza in una denuncia formale. In caso di denuncia, invece, una volta che il quadro della situazione è chiaro, possono scattare le eventuali sanzioni. «Non è vero che se la cavano sempre e solo con una tirata d’orecchie, ma nel diritto minorile bisogna valutare gli episodi di violenza caso per caso, nel dettaglio, e capire come si è arrivati a quello che è successo - argomenta Medici -. Ci sono già state persone condannate a delle pene di privazione della libertà». 

Impedire la recidiva ed educare - L’obiettivo cardine è impedire la recidiva, cosa che non avviene per forza usando le “maniere forti”: «Se posteggiate in divieto di sosta non bisogna a tutti i costi chiamare il carro attrezzi. Spesso una multa ha un effetto analogo. In altri casi è addirittura sufficiente che qualcuno dica all’automobilista che lì non può lasciare l’auto», illustra il magistrato. Insomma, si può ottenere lo stesso risultato senza intervenire in modo drastico. Un secondo scopo è poi quello di avere un effetto di protezione-educazione. In questo senso il nuovo centro educativo chiuso, votato martedì dal Gran Consiglio e che sorgerà ad Arbedo-Castione, potrebbe essere d’aiuto? «Il fatto che una persona partecipi a una rissa non significa che debba essere collocata in un centro educativo, che tra l’altro compete alle autorità civili e non penali», conclude Reto Medici.

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