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GINEVRABellinzona e Berna disunite contro il coronavirus? L'OMS storce il naso: «Si rallenta il controllo del contagio»

01.04.20 - 08:09
«C'era la macchina del tempo...», ha ammonito il direttore vicario dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Ti-press (Francesca Agosta)
Bellinzona e Berna disunite contro il coronavirus? L'OMS storce il naso: «Si rallenta il controllo del contagio»
«C'era la macchina del tempo...», ha ammonito il direttore vicario dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Divieti e consigli però non convincono tutti: «Si punta sul senso di responsabilità del cittadino».

GINEVRA - In Italia, il Paese europeo più colpito, hanno chiuso tutto e vietato alla popolazione di uscire di casa. In Spagna hanno prima speculato e poi interrotto ogni attività non indispensabile, intimando ai cittadini di non lasciare le loro abitazioni. In Francia, Germania e Gran Bretagna hanno tentennato, salvo poi puntare dritti sul lockdown e pregare tutti (ma senza obbligo) di evitare di frequentare spazi pubblici. La Svizzera... la Svizzera è divisa in due all'altezza del Gottardo. Investito dall'ondata del contagio, il nostro Cantone ha messo in pausa la sua economia - salvando solo le attività essenziali – e chiesto ai ticinesi di provare a non star troppo fuori da casa. Niente spesa per gli over 65 e concessi “assembramenti” di massimo cinque persone. Nel resto della Confederazione invece, pur se presenti e a volte scomode, le limitazioni sono meno stringenti.

«Il Covid-19 non si ferma certo davanti a dogane o altro, tutti ci si dovranno confrontare prima o dopo. Ma questo ormai mi sembra sia chiaro. Chi ha mostrato miopia rischia di pagare un prezzo molto alto», ha sottolineato Ranieri Guerra, direttore vicario dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. 

L'esempio Italia non è stato seguito?
«L'Italia per prima si è trovata ad affrontare una situazione difficilissima - ha continuato il dirigente dell'Organizzazione con sede a Ginevra, da noi raggiunto telefonicamente - Si è confrontata con un virus subdolo e rapido. Negli altri Paesi europei si è titubato troppo».

Pensando che il problema fosse destinato ad altri?
«Probabilmente, in un primo momento, i governi hanno creduto che la pandemia rimanesse confinata nella Penisola. O che in quello Stato il contagio fosse tanto violento a causa di problemi, errori e cause diverse. Niente di più sbagliato».

La Spagna è in questo momento in grave difficoltà.
«Hanno temporeggiato, pensando inizialmente solo a potenziare il loro sistema sanitario, senza tuttavia prendere misure di contenimento che coinvolgessero la popolazione. Queste persone non si rendono conto che quello che stanno vedendo ora in realtà è successo quattordici giorni fa».

Ci fosse la macchina del tempo per tornare indietro e riparare le decisioni sbagliate...
«Ma in questo caso la macchina del tempo c'era: sarebbe bastato guardare all'Italia, alle decisioni prese, giuste e sbagliate, per impostare una politica azzeccata contro il virus. Invece molti si sono illusi di essere in grado di limitare i movimenti e, in questo modo, di evitare che qualche vettore portasse il contagio nel loro Paese. Sbagliando».

Il Ticino è impegnatissimo nella lotta al coronavirus. Nella Svizzera interna sembrano invece aver dato priorità all'economia. Da qui il battibecco Confederazione-Cantone sulle chiusure delle attività non essenziali.
«Non entro nel merito delle decisioni di una politica complessa e sofisticata come quella svizzera. È però chiaro che, muovendosi senza unità, è difficile pensare di arrivare a controllare velocemente il contagio».

A livello federale e cantonale, politici come Alain Berset e Norman Gobbi hanno chiesto di evitare “discese” in Ticino per Pasqua. Anche qui richieste, non obblighi.
«Ogni Paese ha una sua disciplina sociale e punta sulla sensibilità e sul senso di responsabilità del cittadino. Ovvio comunque che una risposta in ordine sparso da parte dei governi d'Europa, in questo caso addirittura all'interno di un unico Stato, non fa che rendere più difficile la risoluzione del problema. L'Italia è stata la prima a confrontarsi con il Covid-19. È dura pensare che potrà "guarire" se i vicini non attueranno misure drastiche, anche violente, per combattere la pandemia. In una situazione delicata per tutta l'Unione Europea, che forse non si sgretolerà ma rischia comunque di pagare la sua fragilità a livello sanitario-politico-economico, nella Penisola hanno però un vantaggio sugli altri: hanno una conduzione di natura tecnico-scientifica che non lascia spazio a sciocchezze. Al momento l'Italia è un modello da seguire e studiare. E da provare a migliorare».

La curva epidemiologica italiana sembra aver toccato il suo punto più alto.
«Il picco? Ci vorrà ancora un po', forse arriverà in questi giorni. A differenza di quello che sta accadendo altrove, la curva non mostra in ogni caso più una crescita esponenziale. E questo è sicuramente positivo».

Ci si può attendere che la curva sia simile per tutti e, quindi, prevedere quando arriverà il picco per ogni Stato?
«Sì, certo, si può fare un ragionamento del genere».

Se quindi l'Italia dovesse arrivare al suo massimo in questo periodo il Ticino, in ritardo di dodici-quindici giorni, avrà il suo tra circa tre settimane?
«È plausibile».

Da quando è cominciata l'emergenza, ogni giorno vengono comunicati i dati relativi a contagiati e decessi. Ha senso un'informazione tanto puntuale?
«Non del tutto. Anche perché i numeri comunicati non sono in tempo reale: solitamente ci sono due-tre giorni di ritardo tra l'analisi e la notifica. Sarebbe più logico dare dei dati consolidati e fare questa comunicazione solo due volte alla settimana. Capisco però che le persone vogliano sapere quel che sta accadendo e che la trasparenza assoluta è una conquista».

In Europa il tasso di letalità del virus è diverso da Stato a Stato.
«Si deve vedere quando la reportistica è artefatta. Si deve pure tenere conto dell'età media della popolazione come anche della diffusione sociale degli anziani. Mi viene in mente l'organizzazione delle case di riposo. Italia e Spagna, i Paesi al momento colpiti più duramente, presentano caratteristiche molto simili».

Chi rischia tantissimo è il personale sanitario...
«Proteggere medici e infermieri è fondamentale. Come fondamentale sarebbe poterli periodicamente sottoporre al tampone. Per la loro tranquillità, perché meritano di essere valutati, e per quella dei pazienti. Se un dottore è contagiato ma asintomatico si trasforma in un vettore per il virus».

In queste settimane si è molto discusso della reale letalità del virus, definito alternativamente causa o concausa di un decesso.
«Spessissimo il decesso avviene per una polmonite interstiziale, che è causata dal Covid-19. Questa è però fatale – lo dicono i dati – prevalentemente in età avanzata, quando si è più fragili ed è facile che ci siano altre tre-quattro patologie in corso. E non penso per forza a situazioni gravi. Anche l'ipertensione è un fattore di rischio, oltre che qualcosa di molto frequente tra gli anziani».

Anche il fumo?
«Trattandosi di un contagio “nuovo”, molto è ancora in fase di studio. Come per esempio il fatto che le donne siano meno colpite. Si tratta davvero di qualcosa riguardante il loro sistema immunitario? Può essere. Come può essere che il fumo e i suoi effetti centrino davvero. D'altronde se si guarda agli ottantenni di oggi e li si immagina 40-50 anni fa, i fumatori erano per lo più uomini».

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