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ZURIGOAbortì a Domodossola, chiesti tre anni per la guardia di confine

05.11.18 - 17:48
L'imputato, già condannato in prima istanza, sostiene di non essersi accorto di nulla. La sentenza è attesa per domani
tipress (archivio)
Abortì a Domodossola, chiesti tre anni per la guardia di confine
L'imputato, già condannato in prima istanza, sostiene di non essersi accorto di nulla. La sentenza è attesa per domani

ZURIGO - Si è aperto oggi a Zurigo davanti al Tribunale militare d'appello 2 il processo contro una guardia di confine svizzera, condannata in prima istanza per l'aborto spontaneo di una siriana al settimo mese di gravidanza che nel luglio 2014 fu rinviata in Italia. La sentenza è attesa domani.

Aiuto negato - L'uomo, un sottufficiale delle guardie di confine oggi 58enne, compare per la seconda volta a giudizio e deve rispondere all'accusa di aver negato il necessario aiuto medico alla donna che il 4 luglio di quattro anni fa, dopo essere arrivata in treno a Domodossola (I), diede alla luce una bambina nata morta.

Le accuse - Davanti alla corte d'appello la donna, che oggi ha 27 anni, ha affermato che tutti avrebbero potuto vedere che non stava bene. Sui suoi pantaloni bianchi erano visibili tracce di sangue. Suo marito e altri parenti chiesero inoltre ripetutamente di chiamare un'ambulanza.

«Tutto tranquillo» - L'imputato ha da parte sua sostenuto di non essersi accorto di nulla di particolare al momento di assumere la responsabilità dell'operazione di rinvio. «Non c'era nessuna frenesia, tutto era tranquillo» ha affermato il sergente maggiore delle guardie di confine, precisando di avere visto la donna distesa su una branda, ma di non essersi accorto che era incinta e di non avere visto il sangue.

Il sottufficiale ha detto di essersi reso conto che la donna stava male soltanto quando le persone che l'accompagnavano hanno dovuto caricarla a braccia sul treno. Prima che il convoglio partisse per Domodossola, l'imputato ha perciò informato i colleghi italiani che sul treno c'era una donna incinta che stava male.

Una decisione che il sergente maggiore sostiene di aver intuitivamente ritenuto come la migliore. Se avesse chiamato un'ambulanza, questa avrebbe impiegato mezz'ora per arrivare a Briga (VS) da Visp (VS). Difficile dire se ciò avrebbe comportato un vantaggio in termini di tempo, ha detto la guardia di confine vallesana.

Il pubblico ministero ha richiesto una pena detentiva di tre anni, di cui almeno sei mesi da scontare. «L'imputato e le altre guardi di confine non solo non hanno chiesto aiuto, ma hanno anche mancato di umanità»: non hanno chiesto nemmeno un volta alla donna come stava, ha affermato l'avvocato della famiglia siriana.

La difesa ha chiesto l'assoluzione sostenendo che nulla indicava inizialmente che l'imputato si trovasse di fronte ad un caso urgente in cui occorreva intervenire. Il compito principale del militare era di organizzare il trasporto del gruppo di rifugiati e non di occuparsi di loro. Inoltre avrebbe dovuto poter fidarsi del gruppo sperimentato di una ventina di uomini che erano al suo fianco. E comunque l'accusato ha avvertito la parte italiana per un'assistenza medica rapida.

Condannato in prima istanza - In prima istanza il sottufficiale è stato ritenuto colpevole di lesioni colpose, tentata interruzione di gravidanza e ripetuta inosservanza di prescrizioni di servizio. Il Tribunale militare 4 di Berna lo ha condannato un anno fa a sette mesi di detenzione sospesi e 60 aliquote giornaliere da 150 franchi, pure con la condizionale.

La guardia di confine ha fatto ricorso contro la condanna, che considera «incomprensibile», e il suo avvocato ne ha chiesto il proscioglimento, come aveva già fatto davanti alla prima istanza. La pubblica accusa ha da parte sua ribadito la richiesta di una «condanna corretta».

I fatti - La donna, allora 22enne e al settimo mese di gravidanza, fu respinta al confine franco-elvetico di Vallorbe (VD) assieme ad un gruppo di 36 profughi siriani che la notte fra il 3 e il 4 luglio 2014 provarono a raggiungere la Francia sul treno Milano-Parigi. I doganieri francesi li consegnarono alle guardie di confine svizzere per il rinvio in Italia, lo Stato dello Spazio Dublino dove i migranti avevano inoltrato la prima richiesta d'asilo.

I migranti furono dapprima portati in bus a Briga, dove arrivarono poco prima delle 14.30. Da lì avrebbero dovuto proseguire in treno fino a Domodossola. A causa della forte affluenza di passeggeri, legata all'inizio delle vacanze, l'imputato decise di rimandare il viaggio alle 17.00.

I profughi vennero temporaneamente ospitati nei locali di controllo delle guardie di confine di Briga. Poco dopo l'arrivo in Vallese la donna iniziò ad avere dolori e sanguinamenti, che descrisse come doglie. Il marito sostiene di avere avvisato le guardie di confine e di avere ripetutamente chiesto di chiamare un medico, ma senza successo. A Domodossola la siriana ebbe un collasso. Le guardie di frontiera italiane chiamarono subito i soccorsi, ma una volta portata in ospedale, la donna ebbe l'aborto spontaneo.

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