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ZURIGOEstremista di destra figlio di celebrità: l'anonimato fa infuriare

10.10.22 - 20:53
«La magistratura ha voluto evitare che l'importante famiglia venisse stigmatizzata. Ma ha gonfiato ancora di più il caso»
20min/Taddeo Cerletti
Estremista di destra figlio di celebrità: l'anonimato fa infuriare
«La magistratura ha voluto evitare che l'importante famiglia venisse stigmatizzata. Ma ha gonfiato ancora di più il caso»

ZURIGO - Si riaccendono i riflettori sull'estremista di destra che nel 2020 aveva quasi ucciso un 18enne. Il caso, approdato in Tribunale distrettuale a Zurigo lo scorso luglio, riguarda il figlio di attori importanti della sinistra zurighese, ma sul suo nome vige il massimo riserbo. Politica e pubblico vogliono sapere perché.

Durante il corso dell'estate il 22enne è stato condannato a cinque anni e mezzo di carcere dopo che nel giugno di due anni fa si era presentato davanti a un centro di commerciale di Zurigo indossando una maglietta con la scritta "White Lives Matter", in risposta alle proteste contro la morte di George Floyd. Un gruppo di ragazzi lo aveva presumibilmente guardato male, perciò il 22enne era entrato in una Coop e aveva acquistato un coltello, coltello che aveva quindi usato per accoltellare uno dei giovani. La vittima, sopravvissuta, aveva riportato delle ferite molto gravi.

Dalle indagini era risultato che il 22enne sui social aveva preso posizioni politiche completamente diverse dalla propria famiglia ed estreme. In particolare, su Twitter aveva affermato di desiderare più uccisioni di massa come quelle perpetrate da Anders Breivik o Brenton Tarrant e che tutti gli antifascisti dovrebbero essere giustiziati.

Aveva anche scritto che gli uomini bianchi ed eterosessuali dovrebbero avere il dominio sul mondo, che i non bianchi sarebbero geneticamente inferiori e che le donne non dovrebbero avere il diritto di voto, ma solo soddisfare i bisogni degli uomini.

Richiesta di anonimato - Nonostante il caso, sul nome del 22enne vige il massimo riserbo. Addirittura, il tribunale distrettuale di Zurigo prevede provvedimenti nel caso in cui la stampa lo pubblichi. Sui social però le discussioni sono molto accese, e c'è chi prova anche a far circolare qualche nome. In generale si parla di «bonus celebrità» e di «fallimento della giustizia svizzera».

«La questione dell'anonimato è un delicato gioco di equilibri», afferma Daniel Kettiger, ricercatore in materia di giustizia presso l'Università di Berna. In linea di principio, il pubblico dovrebbe essere informato in caso di condanna penale, ma d'altra parte, afferma, ci sono anche valide ragioni per proteggere l'identità delle persone accusate. «Tuttavia, gli ordini aggiuntivi del tribunale di Zurigo vanno molto lontano», afferma Kettiger.

Il fatto che l'anonimato dell'accusato sia protetto in questo modo è ritenuto insolito anche da Markus Melzl, ex sovrintendente e portavoce della procura di Basilea Città. «Presumibilmente la magistratura ha voluto evitare che l'importante famiglia del colpevole venisse inutilmente stigmatizzata», afferma Melzl. Ritiene che questa decisione sia sbagliata: «Ha gonfiato ancora di più il caso».

La scena politica si infiamma - Il consigliere nazionale dell'Unione democratica di centro e presidente della Commissione politiche di sicurezza Mauro Tuena chiede che vengano disposte misure aggiuntive per un reato così grave e ad alto rischio di recidiva. «Spero che il bonus celebrità o l'orientamento politico della famiglia e dei giudici non abbiano portato a questo lassismo. Il Cantone dovrebbe chiedere alla Fedpol di mantenere l'imputato sul proprio radar anche dopo il suo rilascio».

La consigliera nazionale del PLR Doris Fiala concorda sul fatto che il giovane debba continuare a essere monitorato dalle autorità anche dopo la sua detenzione: «La sicurezza della popolazione è il compito più importante dello Stato».

«Se l'accusato viene rilasciato, mi aspetto che venga chiarito seriamente il pericolo che rappresenta per la popolazione», afferma Franziska Roth, politico del PS. Per quanto riguarda la tutela dell'anonimato, la stessa protezione deve valere per tutti: «La questione è se sarebbero state prese le stesse precauzioni se l'accusato provenisse da una classe sociale inferiore», afferma Roth.

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