L’uomo vuole assolutamente trovare il responsabile e per farlo è disposto a mettere mano al portafoglio e a farsi aiutare dalla comunità di Internet
UZWIL - «Offro duemila franchi a chiunque mi aiuti a trovare prove concrete che potrebbero portare a un’accusa penale e a una condanna». A scrivere è Claudio Raschle, un padre di famiglia di Niederuzwil (SG), sul gruppo Facebook “Sei di Uzwil se…”.
Sua figlia, nel 2017, quando aveva 15 anni, è stata insultata e bullizzata su Instagram. Addirittura, ha ricevuto serie intimidazioni: «Se lo dici a tuo padre, distruggerò tutta la tua famiglia», e ancora «non mi fermerò finché non sarai morta» e «mangerò il tuo cane per cena». Questi sono solo alcuni dei commenti che figuravano sotto alle foto pubblicate sul popolare social network dalla ragazza. Il mittente: “lini_bini_bikini”.
A quel punto, due anni fa, l’uomo aveva deciso di tenere sua figlia a casa, non facendola più andare a scuola. Era spaventato da quello che sarebbe potuto accadere e il mobbing nei confronti della 15enne nell’ambiente scolastico non si placava. Ma era stato multato dall’istituto scolastico.
La polizia a quel punto aveva sequestrato e controllato gli apparecchi mobili dei compagni di classe, senza trovare un responsabile. Analizzando il profilo di “lini_bini_bikini” avevano anche ritracciato l’indirizzo IP, ma senza riuscire a identificare un vero responsabile delle minacce.
Negli scorsi giorni Claudio Raschle è stato condannato, ma per un altro episodio. Un giorno, fuori da scuola, la figlia gli aveva indicato una ragazza ferma al semaforo, dicendogli che si trattava di una sua compagna che la bullizzava. Quest’ultima lo aveva visto, gli aveva mostrato il dito medio e aveva tirato fuori la lingua, mentre lo filmava con il cellulare. L’uomo era sceso dall’auto e aveva chiesto spiegazioni all’adolescente, ma l’aveva fatto in maniera aggressiva ed era stato denunciato.
«Non capisco davvero come funzioni la giustizia - spiega rammaricato l’uomo al Wiler Nachrichten -. Io sono stato condannato perché cercavo chi faceva del male a mia figlia. Quelle cose l’hanno segnata per sempre. Ora soffre di problemi psicologici».
Claudio Raschle, nonostante la condanna al versamento di 30 aliquote giornaliere da 160 franchi, sospesa per due anni, non si ferma: «Offro 2’000 franchi a chi ha informazioni sulla persona che si nascondeva dietro a quel profilo».
La polizia, dal canto suo, critica il metodo delle “investigazioni personali”, considerando tra l’altro inaffidabili o comunque poco accurate le informazioni che si possono ottenere sui social network. «Non m’importa - conclude l’uomo -. Voglio giustizia per mia figlia».