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Luca e Sinisa, non Vialli e Mihajlovic

LONDRA / ROMALuca e Sinisa, non Vialli e Mihajlovic

12.01.23 - 08:30
I social, aggregatore di cattiverie. Vialli: «Mi danno del dopato, me ne vado». «Sinisa tanto amato dai suoi quanto odiato dagli altri»
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Luca e Sinisa, non Vialli e Mihajlovic
I social, aggregatore di cattiverie. Vialli: «Mi danno del dopato, me ne vado». «Sinisa tanto amato dai suoi quanto odiato dagli altri»
Vialli e Mihajlovic raccontati da Condò e Di Caro.
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LONDRA / ROMA - Prima Sinisa, poi Luca. Tra metà dicembre e inizio gennaio, quel periodo di dolcezza avvolgente che sono le festività si è velato di tristezza per l’addio, forzato, doloroso, a due grandi protagonisti di un calcio che non c’è più. A piangere non sono stati solo i tifosi sfegatati o gli appassionati distratti; le lacrime hanno rigato il volto pure di quanti con il pallone ci azzeccano poco. Perché quella che si è spenta non è stata la fiammella che ha acceso due calciatori, quanto piuttosto la luce che ha illuminato due uomini.

Un guerriero dai modi spicci, rude, determinato ad andare per la sua strada è stato Sinisa, piegatosi alla leucemia dopo tre anni di crolli, rinascite, speranze e delusioni.

«Un uomo che non ha mai cercato il consenso, uno sportivo tanto amato dai suoi, compagni e supporter, quanto odiato dagli altri - ci ha raccontato Andrea Di Caro, vicedirettore della Gazzetta dello Sport - Sinisa è a lungo stato divisivo, per le sue posizioni, per il suo modo di fare. Con gli anni poi ha spiegato le sue uscite e per alcune di esse si è anche scusato. Anche se in fondo tutto si sarebbe dovuto contestualizzare. Si sarebbe dovuto fin da subito tenere in considerazione il ragazzo che è stato, le esperienze che è stato costretto a vivere da giovane. Comunque, dal suo passato è uscito pulito. Genuino. E questo ben prima che la malattia cambiasse il modo in cui le persone lo guardavano». 

La sofferenza che ha provato ha unito.
«Il modo in cui ha affrontato il male, l’ha combattuto, senza nascondersi, a volte sorridendo, senza paura di parlare di dolore, lo ha ancor più avvicinato alle persone. Ha mostrato coraggio ed è divenuto un esempio».

Trascinatore come è stato lui, nel pallone di oggi se ne vedono pochi. Forse Ibrahimovic.
«Il paragone in parte regge. Anche se Ibra, che Sinisa ha prima odiato e poi amato, ha il culto di sé stesso. Un culto che alimenta continuamente. Miha aveva invece altri valori. Che sono poi quelli che gli hanno permesso di avere una carriera importante da allenatore. I suoi giocatori nutrivano per lui profondo rispetto».

Il Di Caro giornalista aveva un rapporto quasi fraterno con il Mihajlovic mister. Eppure con lavori del genere…
«Sapevo tutto, perfino la formazione che avrebbe schierato la domenica, ma non ho mai tradito la sua fiducia. Non seguivo personalmente le sue squadre e questo ha sicuramente aiutato, ma d’altronde non ho neppure mai chiamato un mio giornalista per dare indicazioni. Diciamo che con lui sono stato un ottimo amico e un pessimo professionista. Dal canto suo, Sinisa non ha mai approfittato del nostro rapporto. Non ha mai chiamato per lamentarsi di un articolo, per programmare un’intervista, per chiedere un favore. Non abbiamo insomma mai lasciato che le rispettive professioni interferissero con il nostro rapporto». 

Un leader in campo è stato anche Gianluca Vialli, uomo che però ha saputo unire fin da subito, già da quando il pallone era la sua prima preoccupazione.
«Non è proprio così, anche Luca ha avuto i suoi problemi - ci ha invece raccontato Paolo Condò, big del giornalismo italiano - Durante i Mondiali del ‘90, nei quali non brillò nonostante alla vigilia fosse indicato come uno dei possibili protagonisti, le critiche nei suoi confronti non mancarono. Per un po’ le sue quotazioni calarono. Poi ci sono i social, un aggregatore e accumulatore di cattiverie e aggressività… e io divido sempre il calcio pre e post social. Mi sono iscritto a twitter nel 2011 e per qualche settimana con Luca ho scambiato messaggi. Poi lui se n’è andato. “Mi danno del dopato, del drogato, me ne vado”, mi disse».

Nei suoi cinque anni di angosce, l’ex campione ha parlato del male in un modo tutto nuovo. Ha descritto il cancro come un compagno di viaggio, l’ha trattato con rispetto…
«La narrativa della malattia da un po’ è cambiata, anche se qualcuno continua a farla passare come una lotta. Non è in ogni caso per le sue sofferenze e per come le ha affrontate che Luca è entrato nel cuore delle persone. Tanto affetto, quello che si è sentito negli ultimi giorni, è arrivato perché è stato un uomo genuino, sincero, che non ha mai ostentato». 

Lui che arrivava da una famiglia ricca, che era miliardario prima di fare il calciatore. Lui che per la “musica” della festa di matrimonio, consumatasi nel castello di proprietà di Grumello Cremonese, chiamò Lionel Richie.
«E da quella famiglia, che lui ha sempre descritto come “solamente” benestante, ha imparato proprio questo. Niente arroganza, niente ostentazione appunto, niente spocchia o altro. Tanta semplicità, come quella che gli permetteva di esaltarsi su campi in pessime condizioni. Perché in fondo, come lo scintillante David Beckham d’altronde - uno che vive sotto i riflettori, ha sposato una Spice Girl ma nei 90’ menava come un fabbro - Luca è stato proprio questo. Uno “normale”, che da bambino non veniva rimproverato se tornava a casa coperto di fango. E quella normalità, quell’umiltà anche, se l’è poi portata dietro, mostrandola nella vita di tutti i giorni».

Vuoi sapere di più su Luca e Sinisa? Potresti trovare interessanti i libri “Goals. 98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili”, di Gianluca Vialli, e “Sinisa Mihajlovic, la partita della vita”, scritto proprio da Andrea di Caro.

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