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L'OSPITENon è svizzera

11.11.20 - 08:51
Marco Romano, capogruppo Gruppo del Centro.PPD.PEV.PBD in Consiglio nazionale
Tipress (archivio)
Non è svizzera
Marco Romano, capogruppo Gruppo del Centro.PPD.PEV.PBD in Consiglio nazionale

La campagna sull’iniziativa per imprese responsabili è stata impostata sul piano della morale, dell’etica e della tradizione umanitaria elvetica. Un approccio coraggioso e impegnativo. Facilmente si smuovono sentimenti ed emozioni.

Tutte le migliaia d'imprese, dalle numerose PMI alle multinazionali -svizzere o con sede giuridica in Svizzera- generano lavoro minorile, disastri ambientali e scandali? No! Vi sono stati pochi (pochissimi) casi deplorevoli, ma nel complesso la Svizzera, in ogni angolo del mondo, è apprezzata e cercata per il suo spirito imprenditoriale che valorizza la formazione, il partenariato pubblico-privato e la creazione di valore aggiunto per le realtà locali. Ne è conferma la recente approvazione a Berna del credito di 11,25 miliardi per la cooperazione internazionale 2021-2024.

L’iniziativa propone una campagna dai toni duri ed enfatizzanti: le nuove forme del populismo, tanto criticate in occasione di altre campagne (“fare di ogni erba un fascio”, esasperare). Si fomenta il confronto, non propriamente in linea con i valori morali promossi.

Lasciando da parte le emozioni occorre leggere attentamente il testo dell’iniziativa. La finalità del titolo è assolutamente condivisibile, ma in votazione non c’è un titolo, bensì un articolo costituzionale. Il meccanismo di responsabilità proposto è estremo e dannoso proprio per il modello svizzero. La sua realizzazione pratica danneggerebbe tanto l’immagine quanto soprattutto il ruolo della Svizzera e degli svizzeri, quindi anche delle loro attività economiche, nel mondo.

La responsabilità estesa a tutte le aziende fornitrici è un vero e proprio disincentivo giuridico a investire e a cooperare economicamente in Stati con sistemi economici e democratici sottosviluppati e instabili. Il rischio d'incorrere in una causa o di affidarsi a un fornitore scorretto sarebbe troppo elevato. Lo spazio lasciato dalle nostre imprese non resterebbe vuoto, ma sarebbe subito occupato da altre aziende, come realmente sta accadendo in Africa con i cinesi, con approcci davvero irrispettosi e antidemocratici. Le aziende svizzere nei Paesi in via di sviluppo di regola non sono parte del problema bensì garantiscono delle soluzioni a favore delle popolazioni locali.

Le “pecore nere” vanno fermate e portate a giudizio; anche qui sono in piena linea con i promotori. Per fare questo si propone un approccio “americano” e neocolonialista. Il diritto svizzero e i suoi tribunali dovrebbero giudicare misfatti in ogni angolo del mondo. Che effetti genererebbe imporre una preminenza del diritto svizzero in altri Stati? Siamo “poliziotti” del pianeta? Lasciamolo fare ad altri Paesi e continuiamo a impegnarci a livello internazionale a favore della democratizzazione e della costruzione di Stati di diritto solidi. Sostituirsi ai tribunali locali, per quanto oggi possano essere ancora corrotti e incapaci, non costruisce un mondo migliore.

La soluzione proposta è controproducente per le popolazioni locali e per l’economia rossocrociata. Pone le imprese svizzere sotto il sospetto generale, le trasforma in capri espiatori e le espone a facili ricatti, in Paesi già fragili. La Svizzera nel mondo dialoga e sostiene, non impone e delegittima. La responsabilità sociale delle imprese è in forte crescita.

Proprio per dare un seguito concreto al fine dell’iniziativa, il Consiglio federale e il Parlamento hanno varato un controprogetto indiretto pronto a entrare subito in vigore, se l’iniziativa sarà respinta.  Esso aumenta considerevolmente gli obblighi delle imprese e rafforza il dialogo, estendendo la responsabilità. È molto più completo dell’iniziativa sulle questioni climatiche e sociali. Rafforziamo la reputazione dei Paesi toccati e della Svizzera: NO all’iniziativa, SI al controprogetto.

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