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L'OSPITEDalla kilocaloria all’etichetta ecologica

15.10.19 - 15:00
Giulia Petralli, Candidata al Nazionale per "Verdi e sinistra alternativa - Giovani Verdi”
Ti Press
Dalla kilocaloria all’etichetta ecologica
Giulia Petralli, Candidata al Nazionale per "Verdi e sinistra alternativa - Giovani Verdi”

Consultare le etichette dei prodotti alimentari per conoscerne il contenuto calorico prima dell’acquisto è diventata (quasi) un’abitudine. Infatti, se per combattere i disturbi alimentari legati all’obesità sono state introdotte norme per avvisare le consumatrici e i consumatori dei rischi relativi alla salute, lo stesso non si può dire per l’impatto che gli stessi prodotti generano sull’ambiente. Eppure il settore alimentare è una delle prime cause dei danni ambientali.

Secondo la FAO, l’industria agroalimentare produce da sola il 21% delle emissioni globali di gas a effetto serra, una percentuale maggiore rispetto a quella emessa dei trasporti (14%); è inoltre la causa primaria della deforestazione, dello sfruttamento dei terreni e della perdita di biodiversità. A ciò si devono aggiungere gli impatti legati al trasporto e alle scelte d’imballaggio degli alimenti pronti al consumo.

Pertanto sui prodotti che consumiamo andrebbe apportata un’informazione equivalente a quella fornita dalle kilocalorie, ovvero delle indicazioni nei riguardi della quantità di diossido di carbonio rilasciata per produrre ciò che mangiamo. In questo modo, non solo verrebbero preferiti tendenzialmente gli alimenti a chilometro zero e stagionali, ma si solleverebbero anche aspetti celati di cui spesso si ignora l’esistenza.

Ad esempio, un pomodoro hors-sol (fuori terra) regionale coltivato d’inverno ha un impatto maggiore dello stesso coltivato in un paese del sud Europa. Il motivo risiede nella nafta utilizzata per mantenere alte le temperature all’interno delle serre; quantitativo più elevato rispetto a quello necessario per il trasporto. Oppure ancora, secondo il WWF per la produzione di un kg di manzo si possono emettere fino a 60 kg di CO2 equivalente e utlizzare fino a 15’500 litri d’acqua, a dipendenza del paese di produzione.

Per questi motivi un’etichetta climatica potrebbe essere un potente strumento istruttivo in grado di procurare a chi acquista dati rapidi sull’impatto ambientale delle loro scelte. Una proposta già al vaglio in Danimarca e alle Nazioni Unite (presso quest’ultime soprattutto in relazione alla carne). Le informazioni caloriche sulle etichette hanno senza dubbio giovato alla salute alimentare della società; parallelamente definizioni più precise sull’impatto del nostro cibo non solo sensibilizzerebbero sull’economia delle risorse, ma aiuterebbero a rispettare anche il nostro ambiente, privilegiando al contempo i produttori virtuosi.

 


 

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