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MUSICADal Ticino alla Royal Albert Hall: «Sul palco mi sentivo in paradiso»

07.03.23 - 06:30
Nel fine settimana Kety Fusco ha presentato il suo nuovo album a Londra, in un autentico tempio della musica: ecco com'è andata
FLOATING NOTES RECORDS
Kety Fusco e il suo staff a sinistra, a destra Anya Taylor-Joy.
Kety Fusco e il suo staff a sinistra, a destra Anya Taylor-Joy.
Dal Ticino alla Royal Albert Hall: «Sul palco mi sentivo in paradiso»
Nel fine settimana Kety Fusco ha presentato il suo nuovo album a Londra, in un autentico tempio della musica: ecco com'è andata

LONDRA - Un tempio della musica, una capitale mondiale delle arti e anche una star di Hollywood come Anya Taylor-Joy che posa con la tua maglietta: quello appena trascorso è un fine settimana che Kety Fusco probabilmente non dimenticherà mai. Venerdì 3 marzo l'arpista ticinese si è esibita, in uno show sperimentale concepito insieme agli artisti visivi Gabriele Ottino e Sharon Ritossa, nella Elgar Room della Royal Albert Hall di Londra e ha presentato il suo nuovo album, "The Harp - Chapter I". Un nuovo passo in avanti nel cammino che la sta qualificando sempre di più come "rivoluzionaria" dell'arpa. 

Kety, sono passati alcuni giorni dal concerto: quali sensazioni hai provato sul palco?
«Sul palco mi sentivo in paradiso, nel mio mondo, ero serena e non avevo paura di niente. Non è mai il palco l'agonia, ma il momento prima e il momento dopo. L'attesa è sempre troppo lunga e il dopo è deprimente, vorrei essere sul palco sempre ed essere nella vita normale per un'ora al giorno... Ma purtroppo è il contrario! Comunque è stata un esperienza davvero unica. Naturalmente tutti i palchi sono importanti però essere alla Royal Albert Hall mi ha segnata».

Un momento che non dimenticherai mai?
«Ci sono tantissimi momenti divertenti di questa avventura. Per esempio, ho avuto la brillante idea di non portarmi l'outfit e così il giorno prima dello show io e le mie amiche ci siamo trovate a girare per Londra in cerca del vestito; una volta trovato mi sembrava troppo banale e così abbiamo cercato il sarto migliore di Londra e lo abbiamo raggiunto a Piccadilly Circus. Il posto era un po' inquietante e il sarto si rifiutava di fare la modifica che volevo, perché secondo lui era troppo strana e uno stilista se ne sarebbe sicuramente accorto (aveva capito che era per una sfilata di moda). Avrebbe fatto la modifica che volevo, però dicendomi che c'era il 42% di rischio che non sarebbe uscito bene. Ho accettato il rischio e ne è valsa la pena. Come se non bastasse a 30 minuti dall'inizio del concerto mi sono accorta che avevo lasciato gli stivali in hotel...».

Veniamo a "The Harp - Chapter I": cosa troviamo nei suoi 19 minuti?
«È un viaggio introspettivo che si addentra nella ricerca delle sonorità nascoste dell'arpa. Ho voluto fare un album diverso, che si slegasse dalle regole musicali del "perché un album se dura solo 19 minuti?". Sinceramente sono un po' annoiata dalle regole convenzionali: un album per me è un concetto, è un discorso che può durare certamente un'ora come anche 19 minuti. Con questo lavoro desidero che le persone si avvicinano al mondo dell'arpa con una nuova attitudine e per questo c’è bisogno di tempo e di una grande apertura mentale, soprattutto per chi è molto legato alla tradizione classica.
Io sono arrivata qui perché sento che quello che sto facendo ha senso di esistere e se ha senso di esistere, io ho senso di continuare questo percorso fino alla fine dei miei giorni. Desidero ringraziare i miei collaboratori che hanno contribuito ad arricchire la mia visione: Alessio Sabella, Aris Bassetti, Chiara Dubey, Iosonouncane, Sebastiano Piattini, Gabriele Ottino, Sharon Ritossa, Paolo Bertino».

Cosa vuoi suscitare negli ascoltatori?
«Mi piacerebbe che le persone, alla fine del mio show e dell'ascolto del disco, abbiamo un miscuglio di emozioni, positive e negative. Vorrei che parlassero fra di loro chiedendosi: perché?». 

A che punto siamo nel tuo percorso di sperimentazione e "rivoluzione" dello strumento?
«Sto progettando una nuova arpa: mi sono sempre chiesta il perché nessun musicista, a 30 anni, possa decidere di suonare l’arpa. È decisamente più comune pensare di suonare la chitarra o il pianoforte. Soprattutto nessun musicista che io conosca crede nelle potenzialità moderne di questo strumento. Dopo un viaggio di lavoro a Torino, ho incontrato un ingegnere esperto nello sviluppo di nuove tecnologie e con il quale ci siamo imbattuti in un discorso interessante: "Se l’arpa non esistesse e venisse inventata adesso, come sarebbe?" Ci dimentichiamo che per quasi tutti gli strumenti musicali sono passate ere, guerre, epidemie, pandemie, rivoluzioni culturali e sociali. Non vorrei peccare di supponenza ma, in questa era, credo di sapere di che tipo di arpa abbiamo bisogno».

È la prima volta che ti cimenti con il vinile. Sei una fruitrice di questo supporto?
«Si è la prima volta e ho davvero voglia di stampare la mia musica su vinile, trovo che sia molto più appagante ascoltare della musica nel salotto di casa con un giradischi e un whisky in mano».

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