Intervista a Moni Ovadia, special guest della prossima edizione di Poestate a Lugano
LUGANO - Inizia l'estate con un po' di poesia. E con la voce di Moni Ovadia si viaggia fino alle porte di Milano, quelle di inizio Ottocento. Lo scrittore, attore, cantante e intellettuale renderà omaggio al poeta milanese per eccellenza Carlo Porta nella terza serata della prossima edizione di Poestate, che si terrà da giovedì primo giugno a sabato tre nel patio di Palazzo Civico.
Per ingannare l'attesa lo abbiamo intervistato.
Come mai ha scelto di omaggiare Carlo Porta?
«Voglio rispondere con un'affermazione di Alessandro Manzoni, che possiamo dire sia il padre della lingua moderna, di quella che noi parliamo. Manzoni diceva che insieme a Giacomo Leopardi, Carlo Porta era il poeta italiano dell'Ottocento. E che non bisogna esprimere un giudizio di merito, di grandezza, sulla base della lingua che il poeta usa, ma come la usa, con quali risultati. Quante persone leggono Puskin che non sono russi? Credono di averlo letto, ma era solo una traduzione. La lingua prima di essere un sistema di significati, è un sistema di suoni. E i suoni sono fondamentali nell'attribuire senso compiuto a una comunicazione linguistica. Meglio ancora: la lingua è un sistema di suoni e significati e solo l'insieme dei due dà un senso profondo e compiuto».
Che significato hanno per lei le sue poesie?
«Le poesie di Carlo Porta hanno per me un significato grandissimo. Appartengono in modo profondo e radicato alla mia formazione. Quando sono arrivato in Italia dalla Bulgaria, avevo tre anni, e nella Milano in cui ho vissuto, nell'immediato dopo guerra - nel '49 -, le persone parlavano il dialetto, era la lingua della città, era vivissimo, pulsava. E io ho intriso le mie orecchie e le mie emozioni sin da bambino del dialetto milanese, di cui Carlo Porta è l'espressione somma. Misurarmi con le sue poesia è per me un'emozione straordinaria».
Il dialetto milanese ha ancora una grande importanza per lei?
«Se dipendesse da me, se fossi responsabile delle istituzioni culturali e scolastiche della città di Milano, metterei il dialetto nei programmi scolastici, sin dalle materne. Molti credono, e questo è stato l'errore tragico dell'Italietta fascista e fascistizzata secondo cui il dialetto era ignoranza e la lingua cultura, che italiano e dialetto siano due culture diverse. Ma entrambe sono importanti e con grandi potenzialità e possibilità. Bisogna uscire dalla logica perversa del "o o" ed entrare nella logica radiosa del "e e". E arricchire i propri sguardi. Come diceva Pasolini in un suo scritto: «Se gli apporti del dialetto fossero stati coltivati, noi oggi non ascolteremmo quell'ignobile italiano aziendalista, infarcito di ridicoli anglicismi, infilati dentro da chi non sa neanche l'inglese».
Possiamo ritenere Porta un autore i cui testi sono ancora di forte attualità?
«Certo, certissimamente, Tutti i grandi poeti sono sempre attuali. Questa è la grandezza dei classici, di non tramontare mai. Naturalmente affrontandoli bisogna capirli profondamente, avere le capacità per farlo, e quindi avere una formazione critica conoscitiva che permetta di capirne la classicità e quindi il permanere del loro valore. E Carlo Porta è veramente un immenso poeta».
Ultimamente si parla molto dell'importanza della lingua. Ci sono critiche riguardo a influenze di vario tipo. Secondo lei è più importante essere immediati, accessibili e semplici o è più importante mostrarci nella nostra complessità?
«Il problema dell'accessibilità è in qualche misura un falso problema. Nel senso che lo scrittore non deve essere corrivo al pubblico, ma scrivere ciò che sente e farsi capire attraverso lo strumento della sua arte e del suo talento, non adattandosi, ma sollecitando nel lettore una curiosità per il suo linguaggio, per le sue strategie espressive. E infatti noi sappiamo che ci sono stati grandissimi scrittori che hanno acquisito una fama indiscutibile grazie alla loro complessità. Certo, non tutti hanno avuto la pazienza per leggerli, ma lo scrittore deve comunicare al lettore "io non ti tratto come uno che non capisce, io mi misuro con te al livello più alto possibile tra noi due. Io non scendo per farti piacere, per compiacerti. Ti sollecito a essere con me". Lo scrittore deve aderire alla propria poetica, sempre, non comprometterla mai per ragioni di comprensione».
Esistono ancora poeti (che vivono in questo momento) di cui parleremo ancora tra due secoli?
«Se ci saranno poeti che fra due secoli saranno ancora capiti, questo dipende da quale sarà il destino dell'uomo. Se l'homo sapiens sapiens resterà tale, con quelli che sono i suoi limiti, il repertorio delle sue emozioni, delle sue conoscenze, penso che si, ci saranno ancora dei poeti in grado di essere capiti. Se invece l'essere umano attraverso l'Intelligenza artificiale e le bioingegnerie verrà modificato e diventerà un altro essere, non lo possiamo sapere. Forse saranno capiti, forse verranno interpretati in modo diverso o forse si riuscirà a intenderli nella loro verità, o forse saranno equivocati. Non è possibile dare a mio parere una risposta univoca».