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Pupo: «E pensare che in Ucraina sono un criminale»

LUGANOPupo: «E pensare che in Ucraina sono un criminale»

25.01.22 - 06:00
Con le donne preferisce il poliamore. E in musica ci parla di una strana maledizione che colpisce alcuni cantanti.
Pupo
Pupo: «E pensare che in Ucraina sono un criminale»
Con le donne preferisce il poliamore. E in musica ci parla di una strana maledizione che colpisce alcuni cantanti.
Il 24 febbraio arriverà a Lugano, al Palazzo dei Congressi.

LUGANO - Le sue interviste sono sempre schiette e dirette, e anche questa volta Pupo, all'anagrafe Enzo Ghinazzi, non si è smentito. Ha parlato a 360 gradi del suo lavoro, dei suoi viaggi, dei suoi amori e dei legami con la Svizzera. Giovedì 24 febbraio sarà al Palazzo dei Congressi di Lugano, mentre il 25 a Zurigo. Ecco cosa ci ha raccontato.

Ti vedremo il 24 febbraio a Lugano con il tuo spettacolo "Pupo: 40 anni... Su di noi". Ci puoi anticipare qualcosa? 
«Non si parlerà solamente di musica, ma anche della mia storia personale, che in qualche modo ha segnato anche in maniera importante tutta la mia carriera. Assistere a un mio spettacolo è una sorta di percorso nella mia vita. E ci sarà tutto quanto riguarda me, sia come cantante che come uomo, e le scelte che ho fatto, a volte anche molto borderline. Lo spettacolo si chiama "40 anni... Su di noi". La canzone ha compiuto ormai 40 anni, perché è stata pubblicata nel 1980, ma "40 anni" vuol dire anche tutto quello che è accaduto non solo su di me ma anche sulle persone che sono state coinvolte in questi anni nel costume italiano». 

Sei molto amato anche all'estero, e questo spettacolo lo dimostra. Qual è il tuo rapporto con la Svizzera? 
«Mentre ti sto parlando in questo momento dalla mia casa in Toscana, alla mia sinistra vicino al pianoforte ci sono due dischi d'oro dell'Ariola Records di Zurigo. Mi ricordo che in Svizzera il disco d'oro lo prendevi con 25'000 copie di vinili vendute. Con il vostro Paese ho sempre avuto un rapporto di grandissimo feeling, ho fatto molti concerti, tanta televisione e non solo nella Svizzera italiana». 

Sei riuscito a tornare anche in Russia, nonostante le restrizioni legate alla pandemia?
«Sì, ci sono stato un paio di volte, anche con qualche trucco, sempre leciti, magari dicendo che andavo a fare qualcosa di più importante, invece poi ho fatto qualche spettacolo. Altrimenti si rimane immobili. Poi ho fatto un festival anche in Crimea, a Jalta, dove purtroppo mi sono tirato addosso le ire dell'Ucraina. Sono stato messo nella lista dei criminali, e non posso più tornarci. Per me questa cosa è molto brutta, perché faccio un mestiere che non c'entra niente con la politica, che però a volte viene preso per mandare dei messaggi subliminali, e forse nemmeno troppo, a qualcuno. Ma in Russia continuo ad andare, è un Paese che adoro, come una seconda patria. In questi giorni sono stato contattato per un festival in Bielorussia a giugno, dove sarò ospite e anche in giuria». 

Con il cibo russo che rapporto hai?
«Devo dire che non mi fa impazzire, a parte qualche bella scorpacciata di caviale rosso e anche nero Beluga, qualche bel crostino o spaghetto con il burro e caviale... ma per il resto, tutte le loro zuppe non vanno d'accordo con le mie problematiche gastrointestinali». 

Come hai trascorso questi due anni di pandemia? 
«Non mi sono riposato, ho fatto due edizioni del Grande Fratello Vip come opinionista, ma la terza me la sono scampata perché non ce la facevo più. Poi ho scritto delle canzoni nuove, che ovviamente non pubblicherò mai, perché a nessuno interessano le canzoni nuove dei cantanti considerati "leggendari". Noi cantanti italiani, siamo circa una ventina, che abbiamo scritto canzoni che hanno girato il mondo, abbiamo questa specie di "maledizione" che ci impedisce di fare con serietà le produzioni nuove, perché non saranno mai all'altezza delle vecchie. Quando sento dire "è uscito il nuovo disco di Celentano, o Baglioni, o Morandi" sono contento perché vuol dire che sono ancora vivi, ma so già in partenza che quelle canzoni non le ascolterà nessuno. O chi le ascolterà non le metterà mai sul piedistallo dei grandi successi». 

Dunque sono brani che resteranno nel cassetto? 
«Penso proprio di sì, ma poi le canto per i miei amici. Sono molto concreto, ho la fortuna/sfortuna di essere nato sotto il segno della Vergine, con la realtà sempre in bella vista. Sono una persona pragmatica, e conosco, a parte le eccezioni, la praticità della vita, per cui non mi va di buttare via il tempo della mia dietro a imprese inutili. Continuo a cantare le mie canzoni storiche, magari introduco anche qualche brano più nuovo, perché mi diverto a cantare, ma certamente non mi sogno di andare al Festival di Sanremo con una canzone nuova, oppure fare un disco nuovo e andare a promuoverlo nelle radio, che poi non lo passeranno, o di andare in televisione a cantare la canzone nuova e poi mi chiedono di cantare anche tre brani vecchi, che faranno subito dimenticare quella nuova».

Tornando alla musica, facciamo un po' di chiarezza sul brano "Gelato al cioccolato". Qualche tempo fa avevi dichiarato che Cristiano Malgioglio scrisse la canzone per un suo amico marocchino. Malgioglio però ha smentito questa versione,... dove sta la verità? 
«Malgioglio scrisse parte del testo partendo dal tema "gelato al cioccolato", che gli avevamo assegnato io e il mio discografico della Baby Records, come a scuola. Era un tema che mi interessava molto portare all'estero come provocazione alimentare italiana. Lui poi scrisse il testo, e quando lessi le parole per la prima volta ne rimasi positivamente colpito per l'allegria. Poi quando cominciai a fare teatro immaginai, conoscendo bene anche Cristiano, che l'ispirazione l'avesse presa dopo una vacanza in Marocco, dove è pieno di gelati al cioccolato al naturale. E allora mi inventai la storia che lui era in spiaggia e vide salire un marocchino dalla battigia verso la spiaggia con un riflesso solare sui gioielli di famiglia, che richiamava il gelato al cioccolato. Quando raccontavo questa storia la gente rideva molto, e alla fine aggiungevo sempre: "Capite che ora, quando canto questa canzone, non potrò più essere lo stesso uomo, sapendo da dove arriva l'ispirazione". E Malgioglio se la prese inizialmente, ma ora ci ridiamo su».  

Parliamo invece di vita privata, come prosegue? 
«Molto bene. Come molti sanno la mia vita sentimentale si mantiene da quasi 35 anni su un triangolo: io, mia moglie Anna e la mia compagna Patricia. Abbiamo costruito la nostra identità sentimentale fondandola su dei valori che non abbiamo voluto rinnegare: quelli dell'amore, della stima, del rispetto, dell'amicizia, anche del mutuo soccorso».

L'idea di una relazione a tre è stata spontanea o pensata in precedenza?
«Totalmente spontanea, queste cose non si possono pensare in anticipo. Nascono gradino dopo gradino, con sofferenza, dedizione, ci vuole molto amore. E nessuno può permettersi, in una società come la nostra, di programmare una follia del genere. Però oggi siamo arrivati ad un punto in cui i risultati ci restituiscono delle grandi soddisfazioni. Siamo una famiglia allargata ma molto molto unita, che si rispetta e che condivide anche i momenti in cui le famiglie si riuniscono, come il Natale, i compleanni, senza gelosia. Oppure facendo finta di non essere gelosi».  

Come aveva reagito a suo tempo familiari e amici alla notizia di questa famiglia allargata?
«Siccome questa relazione si è sviluppata lentamente, si sono tutti abituati. Non c'è il minimo imbarazzo, e tutti vogliono frequentarci. Anche le mie figlie non hanno subito nessuna conseguenza psicologica, almeno apparentemente. Amici e parenti sono tutta gente equilibrata e serena, il più squilibrato della famiglia sono io».

Quali sono gli ingredienti per una relazione a tre?
«Non esiste una ricetta. Per prima cosa devono incontrarsi tre persone disposte a condividere questo percorso, il che è rarissimo, è come vincere al lotto. Dunque già questo è una cosa che non dipende da noi ma dal caso. E non bisogna volerla, bisogna crederci e comportarsi in maniera onesta e naturale, riservando a tutti la dignità che meritano. Per tanti anni ho tradito mia moglie come fanno quasi tutti gli esseri umani al mondo, senza dirle nulla. E magari sarà anche capitato che lei mi abbia tradito. Dunque chi non sa non ha dignità per poter scegliere. Alla fine io non faccio nulla di anomalo, quasi tutti al mondo hanno un amante o una doppia vita, ma non alla luce del sole come ho scelto di averla io». 

Negli anni hai notato un cambiamento nel modo di percepire una relazione a tre? Si parla ancora di scandalo?
«No, oggi non è più uno scandalo. Il poliamore comincia ad essere una pratica riconosciuta, piano piano. Io sono stato uno dei primi, un esempio, magari brutto, soprattutto per la Chiesa cattolica. L'amore normalmente non dovrebbe avere dei paletti, ma alla fine ce li ha sempre avuti. La possessività è alla base di quello che molti percepiscono come amore. Io stesso non so se accetterei che mia moglie o Patricia avessero un altro uomo». 

Parliamo ora di tv: c'è qualcos’altro che avresti voluto fare? Magari, dato che siamo nel periodo, Sanremo? 
«Tutti vorrebbero essere i direttori artistici di Sanremo. Per me che sono musicista sarebbe un’esperienza importante da fare, e anche molto interessante. Penso che potrei avere le peculiarità. Non andrei più come partecipante in gara, come invece quest'anno hanno fatto Ranieri e Morandi. Non capiterà, ma se capiterà prenderò l'occasione al volo. Per quanto riguarda altre esperienze televisive, ricevo proposte settimanali. L'altro giorno sono stato invitato a Domenica In con la Venier per parlare di Sanremo, e ho rifiutato, perché sono uno che ha deciso di fondare gli ultimi anni della sua carriera sui no, per dare un profilo definitivo alla mia persona e alla mia figura professionale. Non voglio essere uno di quelli che partecipa ad uno di questi teatrini televisivi un po' squallidi dove la televisione cannibalizza il personaggio, ma non gli restituisce niente in termini di profilo e credibilità». 

Se dovessi scegliere un artista con cui collaborare chi sceglieresti? 
«Non sono molto interessato alle collaborazioni, mi sembra una moda. Collaboro con tutti e con nessuno. In molti mi hanno chiesto di fare delle collaborazioni musicali, magari con cantanti giovani come fanno i miei colleghi, ma ho sempre rifiutato perché le ritengo folkloristiche. Le ritengo collaborazioni un po' vampiresche, che vanno a succhiare il sangue di artisti storici e leggendari, e pur facendoli conoscere ai giovani ne sminuiscono il valore. Un cantautore come Giorgio Gaber non avrebbe mai fatto un duetto con Rovazzi ad esempio». 

Detto ciò, c'è però qualcuno con cui non collaboreresti nemmeno per un milione di euro? 
«Qualche antipatia ce l'ho anche io nel mondo dello spettacolo. Ma se fosse utile e dovessi credere in un progetto e fosse proposto da persone meno simpatiche accetterei lo stesso. Ad esempio Flavio Insinna non mi sta simpatico come conduttore. Però se mi proponessero una cosa con lui non è detto che non accetterei di farla se fosse funzionale. E d'altra parte non farei niente con qualcuno che mi sta simpatico se non credo nel progetto. Non sopporto ad esempio il gioco "I soliti ignoti" che fanno su Rai1: se mi proponessero di farlo dire subito di no perché è un programma che non riesco neanche a guardare. Mentre "Affari tuoi", quello dei pacchi, se dovessero ripropormelo lo farei subito, come "Reazione a catena"». 

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