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Tipsy Road, in viaggio alla ricerca della luce

CANTONETipsy Road, in viaggio alla ricerca della luce

05.01.18 - 06:01
È stato pubblicato pochi giorni fa in cd e in formato digitale “Beyond the Veil”, il secondo album dei Tipsy Road
FOTO GIOELE POZZI
Da sinistra Christian Zatta, Simone Geronimi, Anissa Boschetti, Mauro Salazar, Elia Heutschi.
Da sinistra Christian Zatta, Simone Geronimi, Anissa Boschetti, Mauro Salazar, Elia Heutschi.
Tipsy Road, in viaggio alla ricerca della luce
È stato pubblicato pochi giorni fa in cd e in formato digitale “Beyond the Veil”, il secondo album dei Tipsy Road

LUGANO - A tre anni dalla realizzazione dell’ep acustico “Chronicles from Another Sea” (2014) e a quattro dall’album di esordio “Somewhere Alive” (2013), il giovane gruppo ticinese di indirizzo hard-prog ha messo a punto un lavoro di ottima fattura: “Beyond the Veil” è un concept di otto tracce (nove se contiamo la ghost track che dà il titolo alla produzione), da cui traboccano mille sfumature.

Sfumature anche molto distanti tra loro, spesso difficili da accostare e da amalgamare, ma che i Tipsy Road, spinti da un’incontenibile sete di ricerca musicale, hanno collocato in perfetto equilibrio, modulandole e cullandole con estrema cura. Un album maturo, pensato ponderando idee e scelte in ogni minimo dettaglio, che - dopo la pubblicazione del singolo “Lumination” avvenuta nel 2016 - documenta ampiamente le notevoli abilità di Anissa Boschetti, nuova vocalist della formazione “reclutata” due anni fa da Christian Zatta (chitarra), Mauro Salazar (tastiere), Simone Geronimi (basso) ed Elia Heutschi (batteria).

Christian, cosa ha portato Anissa nella band?

«Anissa ha una voce che si adatta perfettamente al contesto musicale del nuovo disco. L’approccio per la scrittura delle linee vocali è molto differente da come eravamo abituati in precedenza, poiché la maggior parte delle idee vengono improvvisate durante le prove. Siamo molto soddisfatti del risultato ottenuto nel nuovo album, così come della risposta molto positiva del pubblico».

Quando e come avete iniziato a scrivere le canzoni di “Beyond the Veil”?

«Alcuni brani sono venuti alla luce due anni fa, mentre altri sono nuovissimi. A causa del tempo limitato per trovarci tutti e cinque, abbiamo lavorato prevalentemente a distanza, scrivendo separatamente le prime idee. Poi, dopo avere suonato tutti insieme le prime bozze e definito delle linee guida, io mi sono occupato degli arrangiamenti, proponendo delle demo complete agli altri componenti della band. Mauro, nel contempo, ha lavorato con una docente di letteratura inglese di Zurigo per sistemare tutti i testi in maniera che funzionassero sia a livello ritmico che linguistico».

Rispetto alle vostre produzioni precedenti, a tratti si respirano ambientazioni funky. Che vuoi dirmi al riguardo?

«Hai ragione. In ogni disco cerchiamo di esplorare sonorità diverse e ci piace scrivere musica che rispecchi i nostri gusti del momento, senza distinzioni di genere. Per noi è proprio questo il significato dell’etichetta “progressive rock”. In questo album volevamo che il groove avesse un ruolo centrale. Il risultato è che alcune strofe hanno sonorità molto funky e addirittura shuffle, come in “Call of the Road”, ad esempio».

La matrice hard-prog figura tuttora alla base della produzione, ma risuona con chitarre meno distorte…

«Il suono e il mix dell’album sono molto chiari e definiti. Questo può forse far sembrare le chitarre meno distorte, malgrado l’approccio rock. In ogni caso, è difficile generalizzare, visto che sono presenti atmosfere molto diverse: a tratti acustiche - come nella parte strumentale di “Endorphin” - e a tratti metal - come nel brano “Where my Demons Die”, dove per la prima volta ho utilizzato una chitarra a sette corde».

Perché il titolo “Beyond the Veil”?

«“Beyond the Veil” è un concept album che racchiude il nostro viaggio musicale e lirico alla ricerca della luce, simbolo di ispirazione e realizzazione. Guidati dal desiderio di andare “oltre il velo” (“Beyond the Veil”), che ci occlude la vista e non ci permette di vedere la realtà delle cose, cerchiamo di raggiungere ciò che non è concretamente tangibile, ma che si può immaginare e desiderare. È un percorso verso la propria umanità intrinseca: del vero sé, del sublime e della pace interiore».

Vuoi fare una panoramica generale dei testi?

«Il viaggio inizia con una tempesta in grande stile: “The Storm” descrive in modo allegorico le difficoltà che si incontrano lungo il percorso alla ricerca del vero sé e l’onnipresente paura di fallire. Questo brano, musicalmente molto diretto, di cui abbiamo appena presentato un videoclip girato in cima a una montagna, a 2300 metri di quota, è seguito da “Double Dice”, che parla del ruolo del destino e dell’impossibilità di essere padroni totali della nostra storia. “Call of the Road” riflette sulle avversità e sul bisogno di andare avanti malgrado la tentazione di fermarsi, mentre “Endorphin” sulla necessità di essere sostenuti e dell’importanza di condividere momenti felici, anche se brevi. “Ballad for a Shadow” è una ballata che parla del processo di comprensione e accettazione dei propri lati negativi. La poesia “Beyond the Veil” è una ghost track (in coda a “Ballad for a Shadow”, ndr) che dà il titolo al disco e lo riassume: racconta l’ansia e la paura che ci attanagliano quando perdiamo l’ispirazione e siamo senza una guida, e di come questa si ripresenti sotto forma di luce inizialmente fioca, fino a diventare una forza travolgente che ci spinge a proseguire. “Where my Demons Die” descrive l’inferno mentale di chi è preda di intense ossessioni. “Mad Girl (the Only One)” è un’esortazione a uscire dagli schemi e seguire il vero sé, mentre l’ultimo brano, “Clarity”, è un esperimento mentale: finalmente giunti sulla cima del monte che abbiamo faticosamente scalato - una sorta di Purgatorio dantesco - e pronti ad andare oltre il velo del cielo - verso il Paradiso, la realizzazione - dobbiamo fare i conti con le profondità più buie della nostra mente. I nodi e le ferite che ci portiamo sepolti nel cuore emergono e bruciano la nostra percezione del reale, portandoci vicino alla follia. Il finale, malgrado sia piuttosto criptico, lascia intuire una conclusione positiva del viaggio».

Quali i vostri ascolti durante il processo di lavorazione?

«Le principali fonti di ispirazione per questo disco sono state il pianista Tigran Hamasyan, il compositore Steven Wilson (Porcupine Tree, ndr), i Muse, la band australiana Closure in Moscow e gli storici Gentle Giant. Naturalmente sono presenti anche influenze provenienti dal mondo del flamenco, della musica classica e soprattutto del jazz, anche se meno evidenti».

Raccontami le registrazioni dell’album…

«Abbiamo lavorato in maniera molto precisa e sistematica: grazie alla pre-produzione siamo riusciti a incidere rapidamente, registrando ogni strumento separatamente, partendo dalla batteria e finendo con le voci. L’album è stato inciso e missato allo Stairway Studio di Cimo da Stefano Scenini e masterizzato da Tom Hutten al Bionic Mastering Studio nel Vermont (USA)».

Pochi giorni fa avete presentato l’album al Temus di Serocca d’Agno, quando il prossimo concerto nella Svizzera italiana?

«In estate abbiamo in programma diversi open air, in Ticino come in Svizzera interna. Al momento siamo ancora in fase organizzativa, ma annunceremo le date al più presto, sia sui social, sia sul nostro sito ufficiale».

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