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ATEDPubblicità online: il ritorno del targeting contestuale

21.01.22 - 07:50
Perché l’advertising relativo al contesto sta tornando di moda: tra necessità e ispirazione
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Pubblicità online: il ritorno del targeting contestuale

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Perché l’advertising relativo al contesto sta tornando di moda: tra necessità e ispirazione

Fino ad oggi l’advertising online ha percorso due grandi filoni: il contextual e il comportamentale. Andiamo ad analizzare i due mondi e i motivi per cui sta ritornando in auge il targeting delineato dal contesto.

La rivoluzione copernicana
Il sistema di advertising display di Google era nato inizialmente come contestuale. Già il nome lato publisher, AdSense, andava a significare che la pubblicità era erogata a seconda dell’argomento della pagina. In pratica, all’interno di un post che trattava di viaggi, veniva presentato un banner relativo alle vacanze, d’altra parte in una pagina di mutui veniva mostrata una creatività inerente ai finanziamenti. Il bot tentava di intercettare il “senso” della pagina e in un certo modo la arricchiva con un contenuto pubblicitario.

Fino a quel momento, l’utente, il lettore, era escluso dal gioco. L’introduzione dell’opportunità di individuare le caratteristiche dell’utente in termini di interesse o intenzione d’acquisto, grazie ai cookie di Google Analytics installati sui vari siti, ha fatto felici gli esperti di web marketing, che si sono focalizzati spesso sul targeting comportamentale piuttosto che su quello contestuale. Si è passati quindi dalla centralità del contenuto alla centralità delle azioni dell’utente. Facebook ha spinto l’acceleratore ancora più a fondo, arrivando a proporre target molto particolareggiati. Tutto questo fino allo scandalo Cambridge Analytica, che all’inizio del 2018 ha portato in primo piano il problema della privacy. Il conseguente inasprimento della lotta contro i cookie di terze parti, in particolar modo nell’Unione Europea, ha completato l’opera. Il risultato è che il target comportamentale sarà sempre più opaco.

Contesti, banner e native advertising
Si tratta quindi di un ritorno al passato, ad un’epoca in cui il target contestuale dominava? La domanda è mal posta. Un buon marketer dovrebbe trovare soluzioni, la vera questione è allora: ma il targeting basato sul contesto è efficace? Di certo questo tipo di targeting libera dalla dipendenza dai cookie di terze parti ormai condannati a morte dal tribunale dell’Europa tramite il già accennato GDPR. Anche aziende private come Apple osteggiano questo tipo di tracciamenti. Per gli utenti che navigano su internet questo significa maggiore rispetto della privacy, per gli esperti web marketing un’arma in meno. Ma l’abilità delle agenzie deve essere ora quella di andare a capire in quali contesti si muove l’utente, in un certo senso le agency devono tornare a scoprire il mondo, la comunicazione che forse si era lasciata da parte grazie ai cookies che rivelavano con meno fatica le caratteristiche del pubblico a cui rivolgere la pubblicità. Ora il contenitore torna ad avere il suo peso. Questo porta inevitabilmente a mettere al centro dell’attenzione il content marketing ed il native advertising: la banner blindness è un fenomeno riconosciuto da tempo, anche per questo il contenuto più vincente diventa discorsivo e narrativo, fuso con gli elementi che ci sono intorno. Un advertising che mostra e non mostra, un tipo di pubblicità che non ha nulla di push, ma si esplicita quasi sottovoce e non per questo è meno efficace. Nelle operazioni di native advertising più ispirate, eseguite a regola d’arte il messaggio pubblicitario non è un ingrediente aggiunto a caso: è la ciliegina sulla torta. Insomma, l’addio ai cookies, vecchi biscottini del web può anche non essere così amaro.


Questo articolo è stato realizzato da ated - Associazione Ticinese Evoluzione Digitale, non fa parte del contenuto redazionale.
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