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CANTONEAziende in crisi d'identità: una su due non sa cosa fa

19.04.18 - 06:01
Chi siamo? Dove andiamo? Per il 50% è difficile addirittura indicare a quale settore appartiene. Come pretendere poi che valorizzi il personale?
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Aziende in crisi d'identità: una su due non sa cosa fa
Chi siamo? Dove andiamo? Per il 50% è difficile addirittura indicare a quale settore appartiene. Come pretendere poi che valorizzi il personale?

LUGANO - Come pretendere poi competenza dal proprio personale, se i datori di lavoro stessi non hanno le idee chiare su quello che fanno? Non è un'illazione, non un paradosso: è l'esito di un sondaggio interno alle aziende ticinesi, condotto negli scorsi mesi su input di Aiti (associazione industrie ticinesi), Ameti (associazione induistrie metalmeccaniche ticinesi) e Swissmem, centro per la formazione professionale dell'industria metalmeccanica ed elettrica svizzera.

Noi siamo "Altro" - Ebbene: una su due ha mostrato difficoltà a rispondere perfino al primo quesito, quello che a rigore neppure dovrebbe essere considerato tale. Davanti alla richiesta di indicare «in quale settore opera la sua azienda», e a dodici opzioni disponibili, la metà ha scelto la tredicesima voce, "Altro". 

Un settore complesso, dunque incapace - Un problema di pochezza delle definizioni? Non secondo chi, raccolti i dati, ha poi stilato un resoconto, segnalando la «complessità che, pur in un ambito territoriale molto limitato, caratterizza il settore industriale» e come essa si rifletta nell'incapacità, poi, di essere all'altezza e di formare i lavoratori in maniera adeguata.

Massimo due giorni di formazione all'anno - Il documento - riservato e che, alla luce di tali contenuti, tale avrebbe voluto rimanere - è un implicito atto d'accusa nei confronti di imprenditori che, per conseguenza delle loro mancanze professionali, rispondono alle esigenze di un mercato competitivo inanellando una serie di errori. Fra i primi: riservare alla formazione del personale fra una e due giornate appena all'anno, e comunque mai di più, a fronte delle cinque giornate in media negli Stati Uniti, nonostante «un consistente calo delle ore investite negli ultimi anni». 

Risorse umane delegittimate - Colpa anche di una confusione nei ruoli e nei poteri: «Le human resources dovrebbero affiancare gli organi decisionali per pianificare di concerto, e in linea con le prospettive strategiche generali dell'azienda, percorsi di sviluppo a lungo termine del proprio personale». Invece si opta per una «"formazione su misura", volta a rispondere a fabbisogni di competenza specifici alla produzione, soprattutto di breve respiro», decisa dal superiore diretto nel 42% dei casi, il direttore in un caso su tre e solo l'11,6% delle volte dal responsabile delle risorse umane. 

I meno preparati: i quadri intermedi - Una sorta di delegittimazione compiuta alla leggera che si traduce poi, ed è qui il danno, in quadri intermedi impreparati alle mansioni; così come inadeguato pare essere il personale dirigente, mentre gli operai si dimostrano essere, fra tutti, i meno imperfetti.

Da operai a capi, non sempre capaci - Si tratta anche dell'esito di una tendenza che, davanti alle pressioni della digitalizzazione, invita ad affidare competenze più evolute a chi, fino a qualche giorno prima, stava semplicemente "alla macchina": «Questo è un fenomeno molto diffuso e non soltanto a livello locale. Riuscire a far evolvere i collaboratori operativi, affidando loro parziali responsabilità di leadership e di management, sembra essere una delle sfide più impegnative per le organizzazioni in genere». 

Poche competenze, ma pochi investimenti mirati - Mancano, però, le cosiddette competenze di base: saper fare bene di conto, saper scrivere in italiano corretto, saper parlare a un gruppo, indispensabili per "fare qualcosa di più". Così, il 32,3% delle aziende lamenta «mancanza di personale qualificato», il 14,5% «mancanza di personale di leadership» e il 60% «ritiene molto importante intervenire nello sviluppo di competenze»; ma pochi, poi, sono disposti a investire o lo sanno fare nella maniera più proficua:  «Soltanto il 13% delle aziende intervistate - si segnala - prende in considerazione l'utilizzo di supporti per la formazione a distanza, sui quali invece, secondo il Trainind Industry Report, sta già investendo il 40% delle aziende negli Stati Uniti». 

 

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