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CANTONEAltri 70mila profili web rubati, ma il Ticino ha una soluzione

06.12.17 - 06:57
A Manno si lavora ad Aragon, un dispositivo per lo stoccaggio di dati che vuole dire addio alle password come le conosciamo oggi
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Altri 70mila profili web rubati, ma il Ticino ha una soluzione
A Manno si lavora ad Aragon, un dispositivo per lo stoccaggio di dati che vuole dire addio alle password come le conosciamo oggi

MANNO - I cybercriminali non desistono. Al contrario, crescono: in numero, forza, capacità operativa. Quando, lo scorso agosto, vennero rubate 21mila combinazioni di username e password, già sembravano tantissime. Ieri, un nuovo annuncio dell'agenzia Melani ha in qualche modo dichiarato che, in fondo, erano addirittura poche. A essere stati trafugati, questa volta, sono i dati di ben 70mila utenze internet.

Un'azienda "controcorrente" - Attività nell'ombra, come nell'ombra a Manno si lavora per metter loro fine. Nella terra dei paradossi che è il Ticino, dove le aziende non si curano dei pericoli informatici e con la leggerezza di chi è inconsapevole si espongono ogni giorno a rischi grossi, c'è una start-up che invece aspira a far la rivoluzione nei modi in cui proteggersi dagli hacker. Il suo nome è Aragon, spin-off della Valble Sa, e il ceo Frederick Tschernutter. Top secret i dettagli di quello che ha in testa, ma la promessa è che, entro la seconda metà del 2018, i nostri dati saranno più al sicuro.

Ritorno al passato... o al futuro? - Se non altro, perché l'accesso al web non avrà più bisogno di password, spiega, né di dati biometrici. In un certo senso, sarà una sorta di ritorno al passato, ma perfezionato attraverso le tecnologie del futuro che all'epoca non esistevano. Grande «quanto uno smartphone», ma destinato con il tempo ad assumere le dimensioni di un microchip, Aragon è «un dispositivo per lo stoccaggio di dati che opera localmente, senza dipendere dal controllo di terzi. I dati vengono criptati alla fonte, quindi non ci sarà la necessità di trasmettere chiavi di accesso ai provider, e saranno accessibili unicamente al proprietario».

Così mi riprendo ciò che è mio - È il privato che riprende possesso ciò che è suo, senza metterlo nelle mani di grandi "banche" o centri di raccolta, bersagli più facili dei malintenzionati. Concetto semplicissimo sulla carta, ammette Tschernutter, che in maniera altrettanto immediata spiega l'apparente ovvietà che sta alla base dell'idea. «Internet oggi è come una città dove le macchine girano senza targa e chiunque può prendersi l'identità di un altro o causare incidenti senza risponderne. Attenzione, però: mettere una targa non può essere la soluzione, aprirebbe scenari che farebbero addirittura sfigurare 1984 di George Orwell».

Noi, stressati dalle regole della rete - Dunque, basta combinazioni alfanumeriche da memorizzare, codici di controllo via sms, doppie autenticazioni. «Gestire tutte queste procedure sta diventando un incubo per le persone comuni. Abbiamo lasciato che la tecnologia ci dettasse le regole, abbiamo rincorso la rete e le sue inarrestabili evoluzioni. Adesso dobbiamo cambiare rotta». 

Nfc, la tecnologia dei passaporti - Il primo passo è «l'eliminazione delle password come le conosciamo oggi». Ma l'obiettivo non è un mero disco fisso esterno. «Non solo lo stoccaggio è locale. Usiamo la tecnologia Nfc, quella dei passaporti, per intenderci, che ci permette di autenticarci senza mai conoscere la nostra password. Ogni chiave di accesso viene generata dall'utente e non è memorizzata in alcun database centralizzato. In questo modo, un hacker dovrebbe attaccare ogni singolo utente, virtualmente e anche fisicamente. Antieconomico, anzi impraticabile». 

E come Caterina saremo risparmiati - A questo punto, con un po' di fantasia, si fa strada anche la ragione della scelta di un nome che ricorda palesemente Caterina di Aragona: «La prima moglie di Enrico VIII, una delle poche donne che non riuscì a decapitare. C'è anche una questione più pratica: il termine contiene tre vocali ed è semplice da pronunciare in tutte le lingue».

Un'opportunità per tutto il cantone - L'ambizione, non ne fa insomma mistero, è quella di conquistare il mondo partendo dal minuscolo Ticino, con ricadute positive in termini di business sul territorio. Allora sì che Aragon potrà rimpicciolirsi fino ad assumere le sembianze di una sim o cose simili. «Ci sarebbe piaciuto farlo subito, ma l'impegno economico è troppo importante e al momento non è alla nostra portata. Siamo però convinti che con Aragon contribuiremo a creare il fondamento per il White Web, una rete sicura all'interno della rete globale. E questo, sia chiaro, senza escludere in nessuna maniera l'utilizzo dei servizi tradizionali». 

«Ma niente serve se non si resta uniti» - Così, se ci fu un giorno, ormai indietro nel passato, in cui si cominciò a considerare più sicuro l'affidamento dei propri dati a terzi, lontano da sé per non venire identificati, adesso si procede in senso contrario. Chi dice che non succeda di nuovo, in una perenne lotta a chi s'ingegna per aggirare ogni nuovo espediente escogitato? «La verità è che nessun Aragon, nessuna legge, nessuna tecnologia, nessuna identità digitale da sola ci salveranno. Dobbiamo solo prendere atto che il problema esiste e collaborare per affrontarlo. Si tratta di ristabilire un equilibrio fra i vari attori dell'economia digitale». 

E i cloud, che fine faranno? - E i cloud, i server, i centri di raccolta dei dati, che fine faranno? «Non sono un rischio, se i dati sono criptati e le chiavi non sono accessibili dalla rete. Ma non dimentichiamo che un sabotaggio, una guerra o un blocco energetico potrebbero metterli fuori uso. Quanto agli hacker, è un fatto: nel 2017, la maggior parte degli attacchi è avvenuto ai danni di strutture centralizzate». 

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