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CREDIT SUISSE«Banche sempre più grandi, consapevoli che saranno salvate. È un brutto segnale»

20.03.23 - 15:30
Il primo giorno "dopo" Credit Suisse. Ne abbiamo parlato con Sergio Rossi, professore di macroeconomia all'Università di Friburgo
Keystone / Tipress
«Banche sempre più grandi, consapevoli che saranno salvate. È un brutto segnale»
Il primo giorno "dopo" Credit Suisse. Ne abbiamo parlato con Sergio Rossi, professore di macroeconomia all'Università di Friburgo

BERNA / ZURIGO - C'era una volta il Credit Suisse. Perché il 19 marzo 2023 è, per la storia bancaria svizzera (e non solo), uno spartiacque, che segna un prima e un dopo. E oggi, de facto, è il primo giorno di questo dopo. L'Istituto fondato nel 1856 diventerà, in modalità e termini ancora da definire, parte di UBS. L'accordo, annunciato nella serata di ieri da Palazzo federale, si è tradotto questa mattina nella caduta libera del titolo di Credit Suisse. Uno scenario atteso? Abbiamo rivolto la domanda a Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia ed economia monetaria all'Università di Friburgo.

La previsione di un titolo in picchiata, poi confermata subito dopo l'apertura dei mercati. È lo scenario che si aspettava e cosa ci raccontano queste cifre?
«Sì, mi aspettavo quello che si è verificato. Ovvero un crollo del titolo di Credit Suisse e una caduta anche di UBS, con quest'ultima che poi riprenderà leggermente quota, più o meno rapidamente. L'aspettativa è che, si spera il più prima possibile, UBS possa tornare ad avere degli utili all'altezza delle attese degli azionisti, attuali e magari anche potenziali, e recuperare in borsa questa caduta, non di valore ma di prezzo, tornando in acque meno agitate, almeno per UBS. Ma molto dipenderà, a medio termine, da come la stessa gestirà le attività di Credit Suisse, che saranno in parte scorporate o cancellate e in parte integrate... però con delle conseguenze anche sul piano occupazionale».

Da questa unione emergerà un'entità di dimensioni colossali. Già lo erano le due banche da sole. L'unione di due banche d'importanza sistemica, alla luce dei precedenti, non è una prospettiva rischiosa?
«Assolutamente sì. È un cattivo messaggio. Un brutto segnale, perché se nel 2008 si è salvata UBS in Svizzera da un fallimento che riguardava soprattutto la banca d'investimento negli Stati Uniti, c'era la certezza - seppure con un piccolo margine di dubbio - che non si poteva più ripetere un caso simile. Oggi invece sappiamo che se in un futuro ci sarà per la nuova entità UBS, o per un'altra banca d'importanza sistemica, un tracollo finanziario così importante, ci sarà sicuramente un intervento non delle autorità americane o del Regno Unito ma di quelle svizzere, dove questa banca ha la sua sede. Anche se i problemi sono nati fuori dalla Svizzera. Le banche sanno che se sono troppo grandi per fallire saranno salvate, per cui ci sarà una tendenza a fusioni e acquisizioni nel settore bancario. E dunque una maggiore concentrazione delle attività bancarie. E anziché avere 120 banche ne avremo solo 60. O solo 30. Perché ci saranno banche più grandi; consapevoli che più la loro dimensione è importante meno ci sarà per loro un rischio di fallimento perché lo Stato interverrà».

Ma non si rischia così di arrivare al punto in cui saranno "too big" anche per essere salvate?
«Indubbiamente. Lo stesso Credit Suisse era troppo grande per essere salvato con un intervento coordinato, o meno, da parte di altre banche. UBS ha fatto un'offerta che non è stata ritenuta sufficiente. Ed è l'intervento dello Stato che ha permesso a UBS di acquisire Credit Suisse. Quindi cosa succederà? Questa verrà ripresa in UBS ma, come detto, sarà scorporata. Alcuni segmenti saranno venduti e altri saranno chiusi. Perché era troppo grande per essere salvata nel suo insieme».

Se guardiamo all'indietro, agli ultimi anni, Credit Suisse è stata protagonista di una lunga sequenza di guai e scandali. Eppure questi non hanno intaccato in modo irrimediabile la fiducia verso la banca. Ora invece, nel giro di pochi giorni, questa si è letteralmente sbriciolata. Perché non è accaduto prima? Cosa è cambiato in così poco tempo?
«Gli scandali di cui è stata al centro Credit Suisse non hanno suscitato timori per la sua solidità finanziaria perché riguardavano questioni "personali". Poi ci sono state le perdite miliardarie, per quanto riguarda i fondi Archegos e Greensill, che hanno creato un certo timore, che però è rapidamente rientrato quando Credit Suisse ha annunciato di avere sufficiente liquidità e di rispettare i requisiti sui fondi propri, che la Finma avrebbe dovuto seguire più da vicino. E così le situazioni si sono poi calmate. Ma con il fallimento di alcune banche negli Stati Uniti - la Silicon Valley Bank, la Signature Bank e la Silvergate Bank -, la volatilità nel mondo delle crypto, con il fallimento di FTX, e i problemi suscitati dalle politiche monetarie restrittive dove i tassi d'interesse continuano a seguire una traiettoria al rialzo, hanno fatto temere il peggio a molti operatori finanziari, ben sapendo che le banche fra di loro sono molto interconnesse. Quindi se si alzano i tassi di riferimento da parte delle banche centrali, anche le banche dovranno pagare di più per rifinanziarsi. E quando la liquidità viene meno, e sopraggiunge un rischio di insolvenza, poi ci si precipita a vendere le azioni. E anche a speculare al ribasso, perché in fondo c'è anche l'aspetto speculativo dietro a questa caduta del prezzo dell'azione di Credit Suisse in borsa. Io posso speculare: vendo oggi tutte le azioni per poi riacquistarle fra due ore quando saranno a un decimo del prezzo a cui le ho vendute. E anche questo è un fenomeno che ha aggravato e accelerato la caduta di Credit Suisse».

E la vigilanza? Perché, ora che la situazione è su un binario definito - c'è un termine fissato a fine anno, ci sono le garanzie della Confederazione - non si può non fare le dovute valutazioni in questo senso. Come ne esce la Finma da questa vicenda?
«Ne esce molto malamente. E la sua reputazione, che già non era ai massimi livelli dopo il problema di UBS, ne è intaccata e a lungo termine. Perché hanno vigilato quando le situazioni erano apparentemente favorevoli ma non sono stati in grado di capire, o non hanno voluto farlo, i problemi che Credit Suisse rivelava sempre più spesso. E non solo per la sua reputazione a seguito degli scandali ma anche per le perdite finanziarie, che avrebbero dovuto suscitare più di un interrogativo per la Finma che invece ha chiuso... se non entrambi gli occhi, quasi. Perché non ha indirizzato la banca verso una gestione più oculata di questi rischi».

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