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SVIZZERANon sempre l'incompetenza è un male: può anche essere un valore aggiunto

30.08.21 - 14:51
Costringe i manager a dover ascoltare chi ne sa di più, sostiene un esperto di gestione aziendale
Depositphotos (depositedhar)
Fonte Ats
Non sempre l'incompetenza è un male: può anche essere un valore aggiunto
Costringe i manager a dover ascoltare chi ne sa di più, sostiene un esperto di gestione aziendale

ZURIGO - L'incompetenza professionale? Un valore aggiunto per un dirigente, perché in tal modo chi è ai vertici è costretto ad ascoltare i sottoposti. Lo sostiene Hans Wüthrich, professore emerito di management ed esperto di gestione aziendale.

Di per sé essere competenti non è un grave difetto, ammette lo specialista in un'intervista pubblicata oggi dalla Neue Zürcher Zeitung (NZZ). «Ma troppa competenza professionale ha anche i suoi effetti collaterali: sussiste la tendenza - spesso inconscia - a operare in modalità microscopica, a scavalcare i subordinati o a trovare difficile delegare».

«Invece chi diventa responsabile di un'area con la quale non ha alcun legame professionale impara quanto possa essere prezioso guidare attraverso le domande, invece che le risposte», argomenta il 65enne. «Ci si permette anche di porre quesiti stupidi e da essi possono emergere soluzioni alternative. Questo è possibile solo se vi esiste una distanza professionale».

Secondo Wüthrich le imprese devono quindi scambiare magari temporaneamente i dirigenti ai vertici: il responsabile della produzione può perciò guidare il marketing e il capo delle finanze l'ufficio acquisti. «Il valore aggiunto è di natura fondamentale: gli esperimenti con risultati aperti creano nuovi mondi di esperienza per manager e leader. Chi deve dirigere una nuova area come non specialista si rende improvvisamente conto di quanto avesse precedentemente guidato solo per pura competenza professionale».

Lode all'incompetenza, quindi. «Sì, perché se si viene dell'esterno si è costretti ad ascoltare», risponde l'intervistato. «E devi fidarti di coloro che sono al secondo livello dirigenziale e della loro professionalità. Questo ha come effetto un potenziamento di questi dipendenti, che si trovano migliorati nella loro immagine di sé. Un manager che non è uno specialista ha anche più tempo per pensare. Alle riunioni non deve assumere la guida in termini di contenuti, può invece concentrarsi sui processi, sul dialogo. Al centro della scena scivolano gli aspetti interpersonali e spontanei».

Secondo l'esperto non si tratta di denigrare la competenza, «ma vale la pena di fare esperimenti contro-intuitivi, perché essi contribuiscono all'innovazione e allo sviluppo organizzativo intelligente». Si tratta anche d'impedire che i subordinati deleghino sempre i loro problemi a chi comanda, nell'aspettativa che il manager abbia già una soluzione: in tal modo i team si rendono improvvisamente conto di avere molto più potenziale.

Le esperienze acquisite attraverso esperimenti sulla base di questi principi rimangono nel tempo. «I manager si rendono conto di quanto sia liberatorio il non dover sempre dare risposte e avere più tempo per riflettere. E i subordinati non vogliono rinunciare alla nuova responsabilità appena conquistata. Questo spesso porta il secondo livello di dirigenti a disciplinare il leader che ritorna e a dirgli: 'basta, non devi preoccuparti di questo ora, lo abbiamo fatto e funziona: usa il tuo tempo per qualcosa di meglio'».

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