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CINAOra anche i cinesi sono stufi

28.11.22 - 11:15
Le proteste esplose contro la linea "zero Covid" mettono sotto pressione Pechino, che potrebbe accelerare la riapertura
AFP
Ora anche i cinesi sono stufi
Le proteste esplose contro la linea "zero Covid" mettono sotto pressione Pechino, che potrebbe accelerare la riapertura

PECHINO - «Non vogliamo sovrani a vita. Non vogliamo imperatori». L'utopia rincorsa dalla linea dura di Pechino - quello "zero Covid" che Omicron e le sue sotto varianti, da un anno a questa parte, hanno reso una chimera - sembra infine aver eroso anche gli ultimi residui di pazienza nelle ben fornite scorte della popolazione cinese.

Shanghai. Nanchino. Canton. Pechino. E altre città ancora. Le immagini delle ultime settantadue ore raccontano che i cinesi sono stufi. Di più. Sono arrabbiati. L'innesco della protesta, con ogni probabilità, è da ricercarsi nell'incendio avvenuto a Ürümqi. Almeno dieci le persone rimaste uccise, con i soccorsi che sarebbero stati ostacolati proprio dalle misure messe in campo dalle autorità contro la pandemia.

Una tragedia; prodromo di un fronte allargato di tumulti che è una rarità all'ombra del Dragone. E che espone ora il "presidentissimo" Xi Jinping, durante l'alba del suo terzo e storico mandato al vertice del Partito comunista cinese, e il resto della alte sfere di Pechino a una sfida senza precedenti.

Un virus che rifiuta il guinzaglio
«È complicato spiegare quanto possa essere scioccante sentire la folla a Shanghai che chiede al presidente di dimettersi», sottolinea il corrispondente della BBC Stephen McDonell, ricordando che «qui è molto pericoloso criticare pubblicamente il segretario generale del Partito Comunista. Si rischia di finire in carcere». Ma è un dato di fatto che Xi - e con lui i suoi fedelissimi ai vertici della nomenclatura cinese - deve aver sottovalutato la pressione del malcontento, a lenta combustione, che da quasi tre anni covava sotto la condiscendenza verso i continui e duraturi lockdown che, ormai, non consentono più di tenere il virus al guinzaglio.

Tre anni che la Cina avrebbe potuto impiegare per rinforzare gli argini funzionali al contenimento del virus, dalle vaccinazioni - con preparati efficaci - agli ospedali. Ma che, al contrario, sono stati sprecati - in termini di minuti e miliardi - in test di massa continui e chiusure a comando. Il "punto di non ritorno", imboccando il proverbiale vicolo cieco, è arrivato in occasione dell'ultimo Congresso. Quello che in molti si auguravano potesse segnare la svolta e che invece ha ratificato la linea dura. Senza passi indietro. Passi indietro che, ora, sono sempre più difficili da compiere.

Ma i riverberi delle proteste travalicano i confini della Cina continentale. Le borse di tutta Europa hanno aperto questo lunedì mattina in rosso, trascinate verso il basso dall'onda negativa dei mercati finanziari asiatici.

Quale strada imboccherà quindi Pechino? Secondo gli analisti di Goldman Sachs ci sono possibilità concrete che la Cina possa decidere di abbandonare il suo regime di "zero Covid" in anticipo rispetto alle previsioni, assecondando il coro di proteste ormai impossibile da ignorare. Cifre alla mano, stando a un documento pubblicato ieri, le possibilità di una riapertura entro l'inizio del secondo trimestre del 2023 si situano al 30%. «A breve il governo centrale potrebbe ritrovarsi a dover scegliere tra più lockdown o più ondate di Covid». E in questo momento, il rischio è che l'uscita dal suddetto vicolo cieco possa avvenire in modo «forzato e caotico».

 

 

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