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Un giorno di ordinarie molestie

Le denunce variano a seconda dell’importanza sociale data al problema dagli organi di governo del Paese in cui si vive
Le denunce variano a seconda dell’importanza sociale data al problema dagli organi di governo del Paese in cui si vive

Corri, e ti fischiano dietro. Posti una foto e ti scrivono commenti osceni. Magari ti palpeggiano e, se non ricambi un sorriso, sei una cicciona che se la tira. È una giornata qualunque nella vita di una donna quella descritta dalla pubblicità voluta dal comune di Manchester: una giovane carina costretta a destreggiarsi tra molestie, fisiche, verbali e informatiche, nell’arco di una intera giornata.

La domanda finale, rivolta agli spettatori, è «Vi sembra che tutto ciò sia ok?». La risposta, per quanto ovvia, è no. Eppure, la realtà è proprio quella descritta dallo spot inglese che oltrepassa i confini nazionali per fotografare la situazione della netta maggioranza delle donne di tutto il mondo abituate, fin da piccole, a vivere nella paura di essere oggetto di parole, sguardi e attenzioni non desiderate.

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«Sono i ragazzi a doversi assumere la responsabilità»
Per il sindaco laburista di Manchester, Andy Burnham, che ha fortemente voluto tale campagna di sensibilizzazione, «gli uomini e i ragazzi devono assumersi la responsabilità di questo problema modificando i propri atteggiamenti o sfidando chi li ha. Le donne non possono essere costrette a cambiare i propri comportamenti per sentirsi al sicuro». L’iniziativa ha ricevuto un consenso generalizzato, ed è servita per avviare un serio dibattito sul tema che verrà affrontato nelle scuole, nei college e nelle diverse comunità di persone. Lo spot è stato rilanciato anche dalla Greater Manchester Combined Authority come parte della strategia decennale contro la violenza di genere. Il video ha ricevuto più di un milione di visualizzazioni e molti elogi: Clir Amna Abdullatif, rappresentante di Ardwick, un distretto di Manchester, ha dichiarato «grazie Andy, per averci mostrato questo problema come una responsabilità degli uomini di affrontare e cambiare il proprio comportamento e di denunciarlo quando lo vedono posto in essere da altri uomini».

Anche Ilona Burton, attivista nel settore della salute mentale e dei disturbi alimentari, ha ringraziato il sindaco di Manchester perché «penso sia facile per alcune persone vedere questo e pensare a piccoli incidenti apparentemente irrilevanti. Ma questo accade tutto il tempo e siamo così stanche e non va davvero bene». Una ragazza ha scritto «questa è stata la mia vita da quando ho compiuto 11 anni e sono sicura che molte altre possano dire lo stesso».

Dopo la messa in onda del video, un numero sempre crescente di donne si è sentita incoraggiata dal condividere la propria esperienza personale. Una donna ha detto «ho paura di scendere dal treno e raggiungere a piedi la mia auto nel parcheggio da sola dopo il tramonto perché qualche ragazzo mi urla dietro di non ignorarlo e di fare la carina con lui», mentre un’altra racconta di sentirsi colpevole quando capitano episodi simili «perché è così che la società fa sentire le donne vittime di molestia sessuale».

Cosa dicono i dati
Secondo la UN Woman UK, il 71% delle donne inglesi di tutte le età ha subito una qualche forma di molestia in un luogo pubblico e il 95% di loro non ha mai denunciato tali fatti. Il dramma delle molestie che una donna deve subire, però, non riguarda solo il Regno Unito, ma colpisce i Paesi della Comunità europea così come quelli extra Ue.

Secondo un sondaggio dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, Fra, una donna su due ha subito una forma di molestia sessuale e una su tre una violenza fisica o sessuale. I dati emersi dal sondaggio rivelano una situazione drammatica: il 18% delle donne è vittima di stalking, il 5%, una donna su 20, ha subito uno stupro e il 43% violenza psicologica. Le esperienze di molestie variano dal 46% al 9% a seconda del Paese ma, a essere ovunque percentualmente più colpite, sono le persone con gravi problemi di disabilità, le minoranze etniche e omosessuali.

Sempre secondo il sondaggio della Fra, il 72% degli episodi di molestie sessuali contro le donne sono stati compiuti da persone sconosciute, mentre il 57% delle donne ha affermato che tali fatti sono avvenuti in strada, in un parco o in un altro luogo pubblico.

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Non esiste una definizione giuridica condivisa di "molestie sessuali"
Davanti a una crescita esponenziale di casi di molestie e reati sessuali a danno delle donne, i Paesi europei non sono riusciti a fare fronte comune e le organizzazioni intergovernative che si occupano del problema hanno difficoltà a rinvenire dati aggiornati sul fenomeno, perché tante donne non denunciano la molestia o non sono supportate a farlo dal sistema legislativo del proprio Paese.

Dal punto di vista normativo, l’Unione europea si è occupata del fenomeno della violenza contro le donne con la Direttiva Ue sulle Vittime del 2012, e con la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, la cosiddetta Convenzione di Istanbul, approvata il 7 aprile del 2011. 

La Convenzione di Istanbul, è un trattato internazionale, giuridicamente vincolante, che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, comprese le molestie sessuali disciplinate dall’articolo 40. La Convenzione è stata ratificata, ad oggi, da 34 Stati e firmata da 12. Nel novembre del 2019, il Parlamento dell’Unione europea ha adottato una risoluzione in cui si invita il Consiglio europeo a completare la ratifica ed esortando 6 Paesi dell’Unione europea, Bulgaria, Repubblica ceca, Ungheria, Lituania , Lettonia, Slovacchia, firmatari della Convenzione a ratificare la stessa.

Una delle maggiori difficoltà che si rinviene nell’affrontare tale problematica riguarda però il far chiarezza su cosa si intenda per molestia sessuale perché varia a seconda dei quadri normativi dei diversi ordinamenti giuridici nazionali presi in considerazione.

Nel diritto dell’Unione europea, la molestia viene intesa come "una situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato a connotazione sessuale espresso in forma verbale, non verbale o fisica, avente lo scopo e l’effetto di violare la dignità di una persona, in particolare attraverso la creazione di un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo". Tutto ciò viene ottimamente riassunto nello spot inglese, nel quale, in una sorta di escalation di comportamenti molesti, si passa dai commenti osceni alle mani addosso.

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Il Portogallo è il Paese in cui si denuncia di meno
La situazione può cambiare molto da Paese a Paese: le denunce di molestie variano a seconda dell’importanza sociale data al problema e di quanto si discute dello stesso a livello di organi di governo. In Italia, Francia e Germania, il tasso di denuncia per le molestie è del 20% mentre i Paesi in cui si denuncia meno sono il Portogallo, appena il 5% ed l’Austria, solo il 7%.

In Europa, la Francia è il Paese in cui la popolazione è più intimorita dalla criminalità e ben il 28% dichiara di evitare situazioni in cui si può essere vittime di molestia o violenza sessuale. I Paesi in cui questa percezione è più bassa sono Cipro, i Paesi Bassi, la Croazia e l’Ungheria che però guadagna la maglia nera, insieme a Polonia e Turchia, per essersi rifiutata di ratificare la Convenzione di Istanbul. La Turchia, che l’aveva ratificata in un primo momento, ha fatto marcia indietro nel 2021.

Secondo Eva Fedor, docente di studi di genere e co-direttrice dell’Istituto della Democrazia dell’Università Centrale Europea, «il governo ungherese non ha fatto molto per aumentare l’uguaglianza tra uomini e donne, anzi si rifiuta di riconoscere il concetto di genere e sostiene che questa è una delle ragioni per cui non ha ratificato la Convenzione di Istanbul». Oltre all’Ungheria, la Convenzione, è stata rifiutata anche dalla Bulgaria, Repubblica Ceca, Lituania, Lettonia e Slovacchia. Ciò che appare evidente, comunque, è che rimane ancora tanto da fare perché una donna possa semplicemente vivere la propria vita senza sentirsi continuamente una preda sessuale.


Appendice 1

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