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Se nemmeno un terremoto riesce a fermare la guerra

Tra aiuti e soccorsi rallentati continuano a piovere bombe sulla Syria.
Tra aiuti e soccorsi rallentati continuano a piovere bombe sulla Syria.

“Queste cose accadono da sempre. Fanno parte del piano del destino”. Così il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha commentato il devastante terremoto che alle 4.17 di lunedì 6 febbraio ha colpito il sud della Turchia e il nord ovest della Siria causando la morte di oltre 50 mila persone, insieme a migliaia di feriti e di sfollati.

Le accuse a Erdogan - «Su 170 mila edifici analizzati, almeno 24.921 sono inagibili o danneggiati» ha dichiarato il ministro dell’ambiente Murat Kurum, mentre il numero delle vittime continua a salire ed Erdoğan cerca di nascondere sotto la sabbia le proprie responsabilità. A finire nel mirino delle accuse c’è l’amnistia edilizia del 2018, con cui sono stati costruiti stabili contrari alla normativa antisismica. «Lo Stato ha bloccato fin dai primi giorni Ong e partiti di opposizione che qui ad Adiyaman stavano portando aiuti» dichiara Ahmet Türk, politico curdo dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli), presente per giorni su uno dei luoghi che, insieme alle province di Hatay e Gaziantep, in Turchia, ha subito i danni peggiori. «Per due giorni non ci sono stati soccorsi e le persone sono rimaste sotto le macerie. Questo è il disastro più grande», conclude Türk.

Giacomo Sini - 2015

Resta solo il 20% della città di Adiyaman - «L’80% della città non esiste più. In alcuni quartieri la gente è rimasta senza elettricità per tre o quattro giorni. Fa molto freddo» dice Sait Dede, deputato HDP. Proprio ad Adiyaman, una squadra di soccorso di pompieri spagnoli ha dichiarato di aver visto le ruspe governative abbattere palazzi noncuranti delle persone sotto le macerie. «Erdoğan ha svuotato le istituzioni statali, collocato i lealisti in posizioni chiave e spazzato via la maggior parte delle organizzazioni della società civile arricchendo la cerchia attorno a lui. Il culmine di tutte queste cose arriva con il terremoto» dichiara Gonül Tol, direttrice e fondatrice del Programma di studi turchi per il Middle East Institute. Nei giorni immediatamente successivi al disastro naturale media, attivisti e organizzazioni della società civile hanno provato a denunciare l’inefficienza del piano di emergenza del governo, mentre aiuti umanitari e squadre di soccorso volontarie subivano fermi e minacce dalle forze dell’ordine turche. Ciò non è servito a nascondere le scelte fallimentari del governo guidato da Erdogan e dall’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo); fondato dallo stesso presidente vent’anni fa e dall’epoca nella maggioranza governativa del Paese.

Una guida politica che nel giro di due decenni ha condotto la Turchia sulla strada della recessione economica e sociale. Le prossime elezioni politiche si sarebbero dovute tenere a maggio, ma probabilmente il terremoto porterà ad un loro rinvio. Erdoğan, con un esito vittorioso in bilico, poco prima di essere distratto dal sisma, puntava alla vittoria alimentando il sentimento anti- curdo tipico della sua roccaforte di voti. «Inflazione e disoccupazione economica in costante crescita minacciano la stabilità di Erdoğan. Quale distrazione migliore, se non lo guerra?» commenta Mezlom Kobane, comandante in capo delle SDF (Forze Democratiche Siriane), che controllano vari territori nel Nord della Syria, duramente colpiti dal recente terremoto, e sotto attacco costante del governo turco.

Giacomo Sini - 2015

30 milioni di abitanti in povertà - Sebbene a settembre il tasso di inflazione sui generi alimentari abbia raggiunto il 90% e circa 30 milioni di abitanti vivano in condizioni di povertà - a cui oggi si aggiungono un milione e mezzo di persone rimaste senza casa - il governo di Erdoğan si posiziona al 20° posto fra i Paesi che acquistano armi dall’Unione Europea e nel 2019 ha investito 20,4 miliardi di euro nella spesa militare.

Armi turche contro i curdi - Buona parte degli armamenti dell’esercito turco viene utilizzata nei ripetuti attacchi che colpiscono la regione curda della Siria settentrionale, oggi devastata dal sisma. Saleh Mislim, un cittadino di Kobane- città del nord siriano nelle mire della Turchia e simbolo della resistenza curda contro ISIS - vive da anni sotto costante minaccia di bombardamenti, attentati ed il rischio di una nuova invasione. «Sin dalla rivoluzione del 2011, lo stato turco non ha mai fermato la sua guerra contro i curdi. Un tempo non usava i suoi stessi soldati, ma supportava le aggressioni di Isis e, prima ancora, fiancheggiava forze di Al Qaeda (come Al-Nusra ed Arhar al Sham)».

Aiuti rallentati - Dopo la sconfitta dello Stato Islamico, «la Turchia ha oltrepassato il confine mediante una guerra aperta nei territori della AANES (Amministrazione Autonoma del Nord e dell’Est della Syria)», ricorda con rabbia Saleh, «il legame fra Turchia e gruppi jihadisti è dimostrato anche durante questa drammatica situazione». Per diversi giorni Ankara e le fazioni ribelli siriane ad essa collegate, hanno lasciato che i trucks carichi di aiuti umanitari inviati dalla AANES restassero fuori dal cantone di Afrin (Nord-ovest della Syria), occupato dai turchi ed i loro alleati siriani dal 2018 con l’operazione “Ramoscello D’Ulivo”.

Giacomo Sini - 2015

Prima le scosse poi le bombe - Il terremoto si è duramente manifestato anche in quest’area, dove una delle città più colpite risulta essere Jinderis; con 1.200 vittime e oltre 100.000 sfollati. A poche ore dalla forte scossa che ha fatto tremare il Medio Oriente, l’esercito turco ha colpito con l’artiglieria Tel Rifaat, nel cantone di Shahba . A questo attacco ne sono seguiti altri nei giorni successivi con droni ed armi pesanti lungo la M4 - asse stradale che unisce L'ovest della Syria all'Est -,  le campagne di Ain Issa ed a Kobane. Negli attacchi un anziano a Tell Rifaat è stato ucciso mentre un altro uomo è rimasto ferito.

Spari contro centrali elettriche, ospedali e scuole - L’ultima aggressione si inserisce in un quadro di attacchi che la Turchia sferra al nord della Syria fin dal 2016, attraverso una guerra a bassa intensità ed una serie di operazioni militari, come “Sorgente di Pace” (2019), terminata con gli accordi di pace fra Usa e Turchia che non sono mai stati rispettati. A questa è seguita “Spada ad artiglio”, con la quale lo scorso novembre, Ankara, ha tentato di invadere Kobane. «Sono state prese di mira infrastrutture vitali come centrali elettriche, giacimenti petroliferi, silos di grano, postazioni mediche e scuole» racconta Dilovan Kobane, combattente curda delle YPJ (Unità di Protezione delle Donne). «Lo Stato turco - parte attiva nel conflitto siriano - supporta in ogni modo la ricomposizione dell’Isis», afferma la combattente.

Giacomo Sini - 2015

«Dove sono gli USA dov'è la Nato?» - Durante l’ultima campagna militare, Erdoğan ha attaccato le Forze di Sicurezza Interna della AANES, incaricate di mettere in sicurezza il campo di Al- Hol - nella Syria settentrionale - dove abitano 54 mila persone legate ideologicamente allo Stato Islamico. Durante l’attacco otto combattenti sono stati uccisi. «Dove sono le forze statunitensi e della Coalizione che ricordano sempre quanto il campo sia pericoloso per il mondo intero?» Si chiede Dilbirîn Kobane, comandante delle YPJ. «Chi ha un ruolo scudo per conto della comunità internazionale per inibire l'espansione della minaccia dell’ISIS è bombardato dalla Turchia. Come può la Nato permettere che un suo membro attacchi chi ha combattuto ISIS per 11 anni?» dichiara Kobane, «la guerra permetterà allo Stato Islamico di riprendere forza. Se c'è qualcosa di cui siamo responsabili, è proteggere le popolazioni da imminenti massacri», aggiunge in un secondo momento.
«Ci siamo sentite responsabili per il mondo intero, per questo abbiamo combattuto lo Stato Islamico e continuiamo a farlo», rincalza infine la comandante. «Con gli attacchi attuali, notiamo un coordinamento tra la Turchia e l'ISIS. Abbiamo ottenuto informazioni al riguardo», interviene con voce ferma e decisa Dilovan Kobane, «possiamo quindi dire che uno degli obiettivi della Turchia è quello di rafforzare l'ISIS nelle nostre regioni, utilizzandolo come una carta in mano da giocare contro di noi».

«Vogliamo sconfiggere il nemico Isis» - Ad Al- Hol, nel 2021 è stata portata avanti la prima parte dell’operazione “Security&Humanity” condotta dalle SDF, che includono le YPJ (Unità di Protezione delle Donne). «In questi anni le YPJ hanno compiuto enormi sacrifici per proteggere il mondo dall’oscurantismo dell’Isis. Una volta per tutte vogliamo sconfiggere questo nemico, così che non possa diffondersi altrove», ricorda la combattente. L’operazione ha portato all’arresto di 121 cellule segrete ISIS. Oltre ai fermi sono state sequestrate tonnellate di tritolo, tende usate per addestrare nuove leve, armi e dispositivi elettronici. «Abbiamo trovato anche uniformi militari turche», racconta Dilovan, «l’operazione è partita in ritardo perché gli attacchi turchi hanno colpito le nostre regioni», conclude la combattente. «Durante questo periodo l’ Esercito Siriano Libero e la Turchia approfitteranno della situazione per impossessarsi della città e dei beni dei curdi” denuncia SOHR (Osservatorio Siriano per i Diritti Umani) guardando alla città di Jinderis, dove il 90% degli edifici sono distrutti o risultano inagibili.

La paura delle epidemie - Il terremoto ha costretto la popolazione a lasciare ancora una volta le proprie case. Si stima che circa 3mila famiglie abbiano raggiunto il vicino cantone di Shahba, dove già vivono 200 mila sfollati da Afrin e in cui, secondo ECDC - Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie , da due a quattro settimane peggiorerà l’epidemia di colera già in corso da mesi. Oltre alla Turchia, a minacciare la popolazione curda c’è anche il governo di Damasco. A Sheikh Masquoud e Ashrafiyah, quartieri curdi a nord di Aleppo, l’arrivo degli aiuti umanitari è stato rallentato dal blocco imposto dal presidente siriano Assad che talvolta viene interrotto dopo lunghe trattative. “Nell’ultimo anno, il governo di Damasco ha privato il quartiere di Sheikh Maqsoud di medicine, carburante” riporta SOHR. Il quartiere è stato teatro di scontri fra le sue milizie di autodifesa curde legate all’AANES ed il governo centrale supportato dall’Iran. «A gennaio, poco prima del terremoto, non c’era carburante da 50 giorni e le persone non potevano avere elettricità per più di un’ora al giorno» afferma ancora l’Osservatorio. E sotto le macerie del Kurdistan si scava ancora.


Appendice 1

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Giacomo Sini - 2015

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YPJ Information and Documentation OfficeLa combattente Dilovan Kobane

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