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La cronistoria di cento giorni di guerra in Ucraina

Mariupol, Bucha, Zaporizhzhia: i luoghi e gli eventi chiave che hanno caratterizzato l'invasione in Ucraina
Mariupol, Bucha, Zaporizhzhia: i luoghi e gli eventi chiave che hanno caratterizzato l'invasione in Ucraina

Venerdì 3 giugno saranno cento giorni che si combatte una guerra di invasione in Ucraina. Una guerra di cui si parla quotidianamente, ma che appare, ancora oggi, quasi irreale nella sua reale drammaticità.

Le immagini di devastazioni e morte, provenienti da un Paese così vicino a noi, ci coinvolgono a tal punto che, quasi fosse un processo di rimozione, le guardiamo come se si trattasse di un film di guerra. Cento giorni in cui, persone come noi hanno perso tutto: casa, lavoro, famiglia, la stessa vita.

Si ha un bel dire che la guerra non dura da cento giorni ma da otto anni, da quando, nel 2014, si è avuta l’invasione russa della Crimea e l’autoproclamazione delle repubbliche di Lugansk e Donetsk. La questione è storicamente vera ma nel sentire comune la data di inizio dell’operazione speciale voluta da Putin è il 24 febbraio di quest’anno, quando il presidente russo ha dato ordine alle proprie truppe d'invadere l’Ucraina con l’intento di ‘denazificarla’ e riportarla alla sua naturale collocazione, ossia all’interno della Confederazione russa.

AFPKramatorsk.

Alle 4 del mattino, i carri armati russi penetrano all’interno del territorio ucraino dando ufficialmente inizio a una ‘operazione speciale’, così come viene definita da Putin la sua guerra di invasione. L’idea è quella di una guerra lampo che porti le truppe russe alla conquista di Kiev e all’instaurazione di un governo filorusso. Si saprà a posteriori che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nelle prime ore di assalto al Palazzo presidenziale, scamperà a diversi tentativi di uccisione.

Il 25 febbraio, invece, ricompare in tenuta militare in un video in cui proclama fiero che «forze nemiche di sabotaggio sono entrate a Kiev, ma io sono e resto qui». Celebre diventa anche la risposta data a Joe Biden che lo invitava a mettersi in salvo lasciando l’Ucraina «non ho bisogno di un passaggio, ma di armi». Il 26 febbraio Kiev si risveglia sotto una pioggia di missili e il sindaco della città dichiara che «ci aspettiamo ore molto difficili».

L'arrivo delle sanzioni
Un palazzo cittadino viene centrato in pieno da un missile russo e mentre iniziano a diffondersi le prime immagini di devastazione, Mosca annuncia la presa di Melitopol, nel sud del Paese. I Paesi europei e gli Stati Uniti, che fin da subito hanno condannato l’invasione russa, decidono l’invio di forniture militari difensive all’Ucraina e si accordano su un primo pacchetto di sanzioni finanziarie tra cui l’esclusione delle banche russe dal circuito internazionale Swift.

Al primo pacchetto di sanzioni ne seguiranno atri cinque. Il clima di guerra spinge milioni di persone, in special modo donne e bambini, a riversarsi lungo i confini con la Polonia, la Moldavia e la Romania dando l’avvio al più grande esodo di massa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

IMAGOLa fuga dei civili da Irpin.

Il 27 febbraio, Putin evoca, per la prima volta, il pericolo atomico dichiarando che «le sanzioni spingono la Russia a una guerra nucleare». Sul fronte interno, il Presidente è impegnato ad arginare l’ondata di proteste e di manifestazioni di piazza contro la guerra che porteranno all’arresto di oltre seimila manifestanti mentre da Bruxelles la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen apre le porte a Kiev per un suo eventuale ingresso nell’Unione europea.

La centrale nucleare di Zaporizhzhia
L’esercito russo concentra i suoi sforzi a Kherson e Kharkiv e qui, il 1 marzo scorso, un missile russo colpisce il palazzo del governo. Anche Kiev viene colpita duramente e, durante una serie di pesanti bombardamenti, viene centrata la torre tv della Capitale.

Sempre agli inizi di marzo, inizia una serie d'incontri tra le due delegazioni, russe e ucraine, ma i tentativi di pace naufragheranno presto per la totale incompatibilità di posizioni di entrambe le parti in causa. L’avanzata russa nella parte orientale del Paese continua e il 3 marzo l’esercito russo conquista la città di Kherson, mentre il 4 marzo i russi occupano, con grandissima preoccupazione dell’opinione pubblica internazionale, la centrale nucleare di Zaporizhzhia, nella località di Enerhodar, la più grande del Paese.

Le notizie che si susseguono in quelle ore concitate, parlano di tecnici ucraini presi in ostaggio e di fughe radioattive dalle vasche della centrale, mentre cresce la paura che i combattimenti che si svolgono intorno all’impianto possano causare, anche involontariamente, un nuovo disastro nucleare dopo quello di Chernobyl del 1986. In effetti, dopo un primo momento di confusione, si è poi appurato che l’incendio scoppiato nell’area della centrale non riguardava nessuno dei reattori e delle attrezzature essenziali per il buon funzionamento della centrale di Zaporizhzhia.

Mariupol, città simbolo della guerra
La città simbolo della guerra diventa Mariupol dove, la popolazione civile paga a caro prezzo l’assedio delle truppe russe. All’inizio di marzo si contano già 2mila vittime e il numero, con il proseguo della guerra, continua a crescere per la difficoltà di concordare corridoi umanitari con la Russia.

Il 9 marzo viene bombardato anche l’ospedale pediatrico della città che provoca morti e numerosi feriti tra le persone ricoverate nella struttura sanitaria. Nonostante la responsabilità del vile attacco venga rimbalzata da entrambe le parti, per i russi in esso vi erano nascosti membri del Battaglione Azov mentre per gli ucraini si tratta di ‘un crimine di guerra’, è evidente che il limite posto dal diritto di guerra è stato ampiamente superato.

La cosa diventa ancora più evidente quando, il 16 marzo, viene bombardato a Mariupol un teatro convertito a rifugio per centinaia di civili e una piscina dove sono presenti donne incinte e bambini. Nonostante la scritta fatta sul terreno segnalasse, a chiare lettere, la presenza di civili inermi le truppe russe decidono comunque di prendere di mira bersagli civili, causando, nel solo teatro, oltre 600 morti.

IMAGOCiò che è restato del teatro di Mariupol.

Sempre a Mariupol, il 20 marzo, viene colpita una scuola dove avevano trovato rifugio circa 400 persone, soprattutto donne e bambini. La Russia lancia un ultimatum «a tutte le formazioni militari ucraine a lasciare Mariupol senza armi e munizioni» ma l’Ucraina lo respinge con l’intenzione di continuare a portare avanti la propria resistenza pur denunciando che «oltre 100 mila persone vi siano intrappolate dentro».

Le prove dei crimini di guerra
L’attacco prosegue nella regione del Donbass mentre nella regione intorno a Kiev l’esercito russo si trova in una situazione di grave crisi, non solo per l’impreparazione delle proprie truppe, spesso composte da giovani soldati di leva senza alcuna esperienza, ma anche per la coraggiosa resistenza ucraina che, supportata dalle armi dei Paesi occidentali, fa fallire il piano russo di accerchiare la Capitale.

Il 29 marzo si aprono dei negoziati di pace a Istanbul, fortemente voluti dal presidente turco Erdogan, ma le posizioni russe e ucraine sono ancora troppo distanti per trovare un accordo. Difficile, infatti parlare di pace, con le bombe che cadono sulle città e viene colpito, ancora una volta, un ospedale pediatrico, come a Mykolaiv il 5 aprile scorso.

Orrore si somma ad orrore e dalle zone intorno a Kiev, liberate dalle forze armate ucraine, emergono le prove di vere e proprie esecuzioni sommarie su civili inermi. Borodyanka, Bucha, Irpin, Kharkiv diventano città-simbolo delle atrocità commesse dall’esercito russo, con centinaia di corpi abbandonati lungo le strade, molti con le mani legate dietro la schiena o gli occhi coperti, e fosse comuni dove i corpi delle persone uccise mostrano anche segni di torture.

IMAGOLe foto del massacro di Bucha hanno fatto il giro del mondo.

«Penso che sia possibile e necessario parlare di un genocidio del popolo ucraino» afferma il Capo della polizia regionale di Kiev mentre l’Onu nomina una commissione d'inchiesta su crimini di guerra. Dalle zone liberate arrivano anche le prime testimonianze di moltissimi episodi di stupro condotti dai soldati russi a danno di donne, uomini e bambini, mentre il 6 aprile la procura generale di Kiev fa sapere che sono circa cinquemila i casi di crimini di guerra raccolti fino ad allora durante il mese di occupazione russa sul territorio.

La minaccia dell'atomica
Il 7 aprile l’Assemblea generale dell’Onu approva, con 93 voti a favore, 24 contrari e 58 astenuti, di sospendere la Russia dal Consiglio dei diritti umani di Ginevra. Il sostegno dei Paesi occidentali all’Ucraina, con l’invio di armi difensive e aiuti umanitari, porta la tensione tra la Nato e la Russia ai massimi livelli tanto che, il 9 aprile, l’ambasciatore russo negli Stati Uniti Anatoly Antonov dichiara che «le forniture di armi e munizioni dall’Ucraina da parte dell’Occidente sono pericolose e provocatorie» e possono portare i due blocchi sulla via di un confronto militare diretto.

La guerra di uno scontro nucleare tiene banco a livello mondiale e la preoccupazione che si stia assistendo a una escalation del conflitto è molto concreta. Da quando, pochi giorni dopo l’inizio del conflitto, Putin ha ordinato alle forze nucleari russe di tenersi pronte in qualsiasi momento, il Presidente russo ha usato l’arma nucleare per minacciare i Paesi occidentali dal non intervenire direttamente in Ucraina.

La sfida diretta tra due super potenze nucleari, infatti, aprirebbe uno scenario apocalittico da ‘fine del mondo’ che i leader mondiali non intendono sottovalutare. Oltre lo spettro della bomba atomica, sull’Ucraina si allunga quello dell’utilizzo delle armi chimiche. Nel corso dei numerosi bombardamenti condotti sulle città ucraine, la Russia ha inoltre utilizzato le famigerate bombe a grappolo, vietate dalle Convenzioni internazionali, ossia ordigni che contengono al loro interno un determinato numero di submunizioni che vengono disperse all’attivarsi dell’ordigno principale.

L'assedio dell'Azovstal
Fallito il piano strategico di conquistare Kiev, le truppe russe decidono, ad aprile, di concentrare il proprio sforzo sul fronte orientale per assumere il pieno controllo delle province di Donetsk e Lugansk, cercando di conquistare Odessa di modo da chiudere completamente l’accesso al mare all’Ucraina. Nel frattempo continua l’assedio a Mariupol dove, la popolazione civile, stremata da mesi di assedio, ha trovato riparo anche nella enorme complesso industriale dell’acciaieria Azovstal.

ReutersRimane poco, delle acciaierie Azovstal.

Il 13 aprile il leader ceceno Ramzan Kadyrov, fedelissimo di Putin, annuncia sul proprio canale Telegram che 1.26 militari ucraini, tra cui 162 ufficiali, si sarebbero arresi a Mariupol, anche se i combattimenti corpo a corpo intorno all’impianto siderurgico Azovstal, base strategica del battaglione Azov, continuano a essere cruciali. Inizia anche a circolare la voce che il Cremlino abbia scelto proprio Mariupol quale teatro della storica parata per festeggiare il giorno della Vittoria della Russia nella Seconda Guerra Mondiale.

Il 15 aprile Zelensky si rivolge, in un dei suoi quotidiani video, ai propri connazionali affermando che «resistiamo da 50 giorni e Mosca ce ne aveva dato 5». Il giorno prima un missile Neptune, lanciato dall’esercito ucraino, ha affondato l’incrociatore Moskva, nave ammiraglia delle forze russe nel Mar Nero. Secondo Mosca la causa dell’affondamento sarebbe stato invece un incendio scoppiato a bordo della nave ma, di fatto, il risultato cambia di poco. La Moskva trasportava 16 missili da crociera su un totale di 17 e svolgeva un ruolo di protezione e copertura nei confronti delle altre navi da guerra russe.

Le fosse comuni di Mariupol
La perdita subita sul Mar Nero fa sì che il Cremlino ordini che vengano intensificati i bombardamenti sulle principali città ucraine mentre cadono nel vuoto gli appelli affinché vengano predisposti dei seri corridoi umanitari che consentano ai cittadini di Mariupol di lasciare la città. Il 21 aprile, 51° giorno di guerra, i ministri delle Finanze del Gruppo dei Sette, G7, si impegnano a stanziare almeno 24 miliardi di dollari in aiuti per l’Ucraina affermando di essere «pronti a fare quanto è necessario» in risposta «alla brutale aggressione russa in atto». La Russia, d’altro canto, decide di schierare 20 mila mercenari, provenienti anche dalla Libia e dalla Siria, per mettere a segno la conquista del Donbass.

Il 22 aprile nuove immagini satellitari mostrano le immagini di fosse comuni vicino a Mariupol. Il servizio stampa della città ucraina afferma, sul proprio canale Telegram, che l’esercito russo ha seppellito oltre 9 mila civili ucraini nel tentativo di nascondere il massacro avvenuto durante l’occupazione della città portuale. Nel suo territorio, secondo la Maxar Technologies, fornitore delle immagini satellitari, ci sarebbero più di 200 fosse comuni a Manhush, poco fuori Mariupol.

Il 23 aprile l’orrore si ripete con la scoperta di una nuova fossa comune contenete i cadaveri di mille persone uccise dai russi. Eppure, nonostante in tutto il mondo si discuta dei crimini di guerra di cui si è macchiata la Russia in Ucraina, il 24 aprile Putin si reca nella Cattedrale di Cristo Salvatore, a Mosca, per celebrare la Pasqua ortodossa. Il presidente russo rivolge gli auguri ai cristiani ortodossi e a tutti i cittadini russi dicendo che «la risurrezione di Cristo, attorno a valori morali elevati, risveglia nelle persone sentimenti più luminosi, la fede nel trionfo della vita, della bontà e della giustizia».

IMAGOIl presidente russo Vladimir Putin celebra la Pasqua ortodossa.

Russia e Occidente, sempre più lontani
A dispetto però della belle parole, così ricche di fede, Putin non ferma i bombardamenti in Ucraina, intensificando maggiormente le operazioni militari nella parte orientale del Paese. Durante l’incontro tra Zelensky e il segretario generale dell’Onu Guterres, i russi lanciano dei missili su Kiev quale atto provocatorio contro la vicinanza dell’Ucraina ai Paesi occidentali.

Nel frattempo la situazione nell’acciaieria Azovstal si fa sempre più drammatica e le immagini diffuse sui social mostrano donne e, uomini e bambini stipati da mesi in buie gallerie. Gli stessi cunicoli ospitano anche i combattenti del battaglione Azov e molti militari feriti in maniera più o meno grave. Intorno all’acciaieria la tensione rimane alta ma il 1 maggio, grazie a un intervento congiunto della Croce rossa internazionale e dell’Onu, vengono evacuati i primi 100 civili e, nei giorni successivi, si organizza la liberazione di altri civili presenti nell’impianto siderurgico che, come detto dallo stesso Zelensky, «assomiglia all’inferno».

Il 9 maggio, Putin parla dalla Piazza Rossa all’apertura della parata per il giorno della Vittoria, dicendo che «La Nato creava una minaccia ai nostri confini» per cui, l’intervento in Ucraina, «è stato preventivo». Rivolgendosi alle forze armate, afferma che «voi combattete per la sicurezza della patria e per il futuro affinché non ci sia posto nel mondo per i criminali nazisti».

Il focus su Severodonetsk
Il 12 maggio la Finlandia decide di far domanda per fare il proprio ingresso nella Nato e lo stesso, alcuni giorni dopo, fa la Svezia. Il presidente finlandese Niinisto dichiara che «la Russia ha mostrato di essere pronta ad attaccare un Paese indipendente» mentre, dal canto suo, la Russia decide, il 14 maggio, di operare un primo taglio della fornitura di elettricità al Paese scandinavo.

Il 17 maggio, dopo settimane di assedio, parzialmente sospeso per l’evacuazione dei civili, Kiev annuncia l’uscita di 264 militari dall’acciaieria Azovstal, condotti a Olenivka, nel territorio controllato dai separatisti filorussi del Donetsk. Molti combattenti rifiutano però di abbandonare il sito industriale ed il 20 maggio il portavoce del Reggimento Azov, Svjatoslav Palamar diffonde un video in cui smentisce la resa e si dice certo che «non avremmo grandi possibilità di sopravvivere se venissimo catturati».

AFPI combattimenti sono ora concentrati a Severodonetsk.

La priorità russa è la liberazione del Donbass e, a tale scopo, viene concentrata nell’Ucraina orientale la quasi totalità delle operazioni militari russe. La città di Severodonetsk è teatro di una sanguinosa battaglia urbana che comporta la distruzione del 90% delle abitazioni civili. La città è in una posizione strategica per l’accesso ai ponti sul Siverskyy Donets che permettono di proseguire in direzione di Sloviansk e Kramarosk. Il 28 maggio, Zelensky ha ammesso che «la situazione è molto difficile» ma che il suo Paese farà di tutto il possibile per proteggere l’area e «il Donbass sarà ucraino».

Il 30 maggio viene diffusa la notizia che a Severodonetsk è morto il giornalista francese Frédéric Leclerc-Imhoff, colpito al collo da schegge di granate russe. Dall’inizio della guerra hanno perso la vita 21 giornalisti, uccisi nell’atto di svolgere il proprio mestiere di cronisti. Cento giorni di guerra di cui non si può scrivere ancora la parola Fine.


Appendice 1

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AFPScene di distruzione a Kharkiv.

IMAGOCiò che è restato del teatro di Mariupol.

IMAGOLa fuga dei civili da Irpin.

IMAGOLe foto del massacro di Bucha hanno fatto il giro del mondo.

ReutersRimane poco, delle acciaierie Azovstal.

AFPI combattimenti sono ora concentrati a Severodonetsk.

IMAGOIl presidente russo Vladimir Putin celebra la Pasqua ortodossa.