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MONDO«Non conosco nessuno in Italia che speri che Putin vinca questa guerra»

01.04.22 - 06:00
Dal "Conticidio dei Migliori" al ruolo italiano nel conflitto in Ucraina. La nostra intervista a Marco Travaglio.
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Marco Travaglio
Marco Travaglio
«Non conosco nessuno in Italia che speri che Putin vinca questa guerra»
Dal "Conticidio dei Migliori" al ruolo italiano nel conflitto in Ucraina. La nostra intervista a Marco Travaglio.
Il giornalista italiano, direttore de il Fatto Quotidiano, tornerà domenica sera in Ticino con il suo ultimo spettacolo. E proprio da quello siamo partiti per scattare - tra politica, guerra e attualità - un'istantanea del Bel Paese.

LUGANO - I temi che porta sul palco sono seri, ma durante lo spettacolo «si ride a crepapelle» ci assicura Marco Travaglio. Il giornalista italiano, direttore de il Fatto Quotidiano, porterà domenica sera il suo "Il Conticidio dei Migliori" al Teatro Kursaal di Locarno. Ed è proprio la caduta del secondo governo Conte, che nel "giallo" viene passata ai raggi x, il punto di partenza di questa intervista.

Ormai è trascorso più di un anno. E gli «esecutori» materiali non sembrano esserne usciti benissimo... Ma cos'hanno ottenuto in cambio?
«Hanno ottenuto la caduta del governo Conte, che era ciò che interessava a tutti i poteri d'Italia per mettere le mani sui soldi del Recovery Fund. Per spartirsi quei 209 miliardi. Per fare un'operazione di "greenwashing" sulla transizione ecologica, che è stata infatti affidata a una specie di Attila dell'ambiente, cioè Cingolani. Hanno smantellato conquiste sociali importanti come le norme contro il precariato. Hanno tentato di smantellare, senza ancora riuscirci, il reddito di cittadinanza. Hanno tolto dall'agenda del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr.) il salario minimo. Hanno stravolto la riforma della giustizia, fatta dal ministro Bonafede per bloccare la prescrizione, e hanno introdotto quel meccanismo folle che fa morire i processi se non durano meno di tre anni in appello e un anno e mezzo in Cassazione. Quindi ne hanno fatte di tutti i colori. E adesso, con questa corsa al riarmo, stanno pure contraddicendo a 180 gradi la missione pacifista del Movimento 5 Stelle, che nasce il 4 ottobre 2009, giorno di San Francesco. E non è un caso se lo scontro in questo momento non è tra la sinistra e Draghi. La sinistra è completamente spalmata sulle posizioni della Nato. Lo scontro è invece tra tutti i partiti e i 5 Stelle».

Ma quell'epilogo, in quel preciso momento politico, era quindi inevitabile?
«No, un epilogo diverso sarebbe stato possibile se il presidente Mattarella avesse seguito le prassi costituzionali e avesse fatto il discorso che fece per sostenere Draghi - e cioè, "o votate questo governo o vi mando a votare e perdete il posto" - per Conte. Il governo Conte aveva appena ottenuto la fiducia alla Camera (con maggioranza assoluta) e al Senato (con maggioranza relativa). E non è mai stato sfiduciato. Quando un governo si dimette, avendo appena ottenuto la fiducia, la prassi era, da sempre, che il presidente della Repubblica respingeva le dimissioni e mandava il governo alle Camere per un ultimo tentativo. Sarebbe bastato dire che dopo c'erano le elezioni e Conte di responsabili non ne trovava cinque o sei, ne trovava cinquanta. Quindi è stata un'operazione alla quale ha collaborato anche Mattarella. E dopo abbiamo visto quali erano le mire dei poteri forti. Teniamo anche presente che c'erano in ballo pure fattori internazionali. Era appena stato eletto Biden negli Stati Uniti. E come noi sappiamo, i veri impiccioni, gli interventisti, sono sempre i democratici americani, mai i repubblicani che tradizionalmente sono isolazionisti e fanno pochi danni in giro per il mondo. Sono i democratici che di solito fanno danni, fanno guerre e si immischiano negli affari interni degli altri Paesi. Biden si immischia molto di più e lo stiamo vedendo adesso. E Draghi è l'uomo degli americani. Degli anglo-americani, da sempre. E infatti è la prima volta che noi abbiamo un governo che è più fedele agli americani di quanto non siano gli inglesi, che sono storicamente i loro guardaspalle in Europa. E scopriamo così che Draghi vuole improvvisamente portare la spesa militare al 2% del PIL in un momento in cui non ci sono i soldi neanche per pagare le bollette».

E va letto quindi in quest'ottica il cambiamento dell'Italia nel corso dell'ultimo mese? Dalla penombra dei primi giorni di guerra in Ucraina alle posizioni più decise e di primo piano attuali...
«Certo. È un governo praticamente agli ordini della Nato e degli americani, che si è precluso anche ogni possibilità di svolgere un'opera di mediazione. Perché sarebbe bastato fare qualcosa in meno di quanto fatto da francesi e tedeschi e l'Italia sarebbe stata credibile per svolgere questo ruolo di mediatore. E invece lo abbiamo regalato ai turchi. Che è tutto dire».

In questi giorni c'è anche chi ha evocato la possibilità che il governo Draghi potesse cadere sulla questione delle spese militari. Uno scenario plausibile?
«Quello di Draghi è stato un ricatto. Intanto, se il governo cade è solo perché Draghi lo vuole far cadere. Andare a prendere impegni sul 2% subito, senza prima aver consultato le forze di maggioranza, è un comportamento scriteriato che avrebbe fatto di Draghi il colpevole della caduta del governo».

La crisi in Ucraina ne ha innescata una anche sul piano comunicativo. Chi oggi parla di guerra spesso viene etichettato come un tifoso. È accaduto anche a voi. Ho letto titoli tipo "il Fatto come la Pravda" e "il suo direttore filo-Putin". Titoli poi smentiti da editoriali in cui Putin viene descritto come un autocrate, un criminale e un guerrafondaio...
(ride) «Ma ci mancherebbe. È così fin dal primo giorno».

Inevitabilmente però uno poi finisce per chiedersi: ma dove sta tutto questo presunto filo-putinismo?
«Non esiste nessun filo-putinismo. Io non conosco nessuno in Italia che dia ragione a Putin o che speri che Putin vinca questa guerra. Conosco invece molte persone che guardando la cartina dell'Europa del 1989 e quella di oggi si sono resi conto del fatto che si è commesso lo stesso errore che si è commesso con la Germania dopo la prima Guerra mondiale, cioè umiliare gli sconfitti. In questo caso quelli della Guerra fredda. Circondarli e farli sentire assediati, aumentando così enormemente la credibilità della propaganda del dittatore agli occhi della sua opinione pubblica e fornendogli un alibi formidabile per scatenare questa guerra criminale. Che però ha molti padri, perché esiste una guerra iniziata il 24 febbraio, della quale c'è un unico colpevole: Putin. E poi esiste una guerra, non guerreggiata fino al 2014, nel Donbass che è riuscita a oscurare in qualche modo tutte le guerre che aveva fatto Putin, dalla Georgia alla Cecenia, all'occupazione senza colpo ferire della Crimea. Proprio perché non si è voluto vedere quello che molti analisti intelligenti avevano visto. Il professor Alessandro Orsini, che oggi viene considerato filo-Putin, durante un'audizione in parlamento nel 2018 aveva detto "guardate che di questo passo scoppia una guerra in Ucraina"».

E anche Orsini è stato messo alla gogna in queste settimane...
«Proprio perché chiunque cerchi di ragionare e di fare il suo mestiere di analista o di giornalista o di storico, viene immediatamente etichettato come "amico di Putin" semplicemente perché dice una cosa vera. Ormai siamo a un tale analfabetismo e a una tale militarizzazione del dibattito che se cerchi una ragione della guerra, quindi le cause, ecco che qualcuno pensa che stai dando ragione. Si scambiano le cause con le giustificazioni. Dire che la Germania, umiliata e punita dopo la prima Guerra mondiale, ha provocato come risultato Hitler e la seconda Guerra mondiale non vuol dire che aveva ragione Hitler. Vuol dire che si sono create le condizioni affinché avvenisse. E questa cosa che è banale, perché stiamo parlando di vicende morte, sulle vicende vive non riesce a entrare in testa. E se per dire cose che sono la verità devi essere accusato di putinismo... A me viene da ridere».

E in ogni caso, e non serve neanche tornare così tanto indietro, non sembrava un gran problema un tempo essere amici di Putin. Ricordiamo precedenti "illustri" di chi in Italia questa amicizia la sventolava senza troppi problemi. E non è che Putin si sia trasformato improvvisamente il 24 febbraio...
«Infatti. Sembra che la Politkovskaja sia morta il 24 febbraio, il giorno dell'invasione in Ucraina. Che nello stesso giorno abbia preso pure la Georgia e la Crimea. Stiamo parlando di crimini commessi nell'arco di quasi 25 anni, che vengono scoperti solo adesso. Poi è chiaro, anche lì bisogna distinguere. È ovvio che l'Europa non può fare finta che non esista la Russia. La Russia ha intriso le nostre economie. È un mercato enorme per le nostre aziende. Quindi c'è sempre quel difficilissimo equilibrio che devi tenere per evitare di fare la cheerleader di Putin, come faceva Berlusconi. O come Salvini, che peraltro Putin lo avrà visto due volte e neanche lo conosceva. Perché l'unico che era amico suo era Berlusconi. A Salvini viene rimproverato anche troppo il rapporto con Putin. Non era certamente il rapporto personale che aveva Berlusconi. E comunque Salvini non è mai stato "premier". Però, avere buoni rapporti con la Russia è un dovere di ogni governante italiano che faccia l'interesse del suo Paese. Dire che Putin è un dono di Dio e andare a farci i festini nelle dacie come faceva Berlusconi... Questo non è interesse nazionale ma interesse privato. E purtroppo quell'interesse privato ci ha resi particolarmente succubi del gas russo perché poi gli accordi che hanno legato l'Italia così pesantemente a filo doppio con la Russia li ha stipulati l'Eni negli anni di Berlusconi. Anni in cui, ci ha raccontato WikiLeaks, i cablo americani si domandavano se l'Eni lavorasse per la Russia o per l'Italia. Quindi non era solo folclore, erano anche affari».

Ed è un po' la conferma di come - vale per Putin ma più in generale anche per la classe politica - in Italia ci si dimentica in fretta di quanto è accaduto solo poco tempo prima...
«C'è una memoria da pesci rossi. Oggi noi ci stiamo legando a filo doppio, per fare a meno dell'energia di Putin, con Arabia Saudita, Qatar, Algeria... Poi fra qualche anno diremo "forse era meglio tenersi il gas russo" perché scopriremo che quelli che devono sostituire i russi potrebbero essere o diventare peggio di loro. La memoria è sempre quella del giorno stesso e mai nemmeno quella del giorno prima».

Ora, abbiamo parlato di guerra, di politica e dell'Italia. E il cerchio lo chiuderei sulla figura di Indro Montanelli. Il suo è un nome che riemerge sempre, come se non se ne fosse mai andato. Inevitabile, considerando quanto siano ancora attuali le sue cronache. Cosa direbbe guardando l'Italia di oggi?
«Nel suo pessimismo cosmico credo che si sentirebbe ulteriormente confermato in un giudizio desolante. Però questo gioco di immaginare che cosa direbbe se fosse vivo mi sembra sempre un abuso. Poi lui ha scritto talmente tanto sui caratteri fondamentali degli italiani e dell'Italia, che secondo me basta cambiare qualche data e qualche nome di persona per trovare in cose che ha scritto 50 o 60 anni fa parole attualissime per oggi. Io ho fatto questo libro - "Indro: il 900" - l'estate scorsa per i 20 anni della sua scomparsa e veramente quando leggi qualcosa scritto da lui sugli italiani ai tempi di Mussolini o sulla stampa italiana asservita a Mussolini e vedi cosa scrive la stampa italiana su Draghi, te ne rendi conto. Ma non perché io dico che Draghi è Mussolini. Perché dico che la stampa prona a Mussolini è altrettanto prona a Draghi. Quando la scorsa estate abbiamo vinto gli Europei, l'Eurovision con i Måneskin e qualche medaglia olimpica, molti giornali hanno scritto che era merito di Draghi. Esattamente come quando l'Italia ha vinto i mondiali del '34 e del '38 con Vittorio Pozzo i giornali scrivevano che era merito del Duce. I mondiali li aveva vinti il Duce, non la nazionale azzurra. E questa cosa dovrebbe fare riflettere. Sull'eterno fascismo che, prima ancora che nelle classi dirigenti, è presente e inquina le classi intellettuali. Che sono quelle che invece dovrebbero fare da argine e sviluppare lo spirito critico».

Riaffiora alla mente il celebre loden di Mario Monti...
(ride) «Assolutamente. È la stessa identica cosa».

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