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Quel legno sporco di sangue

Quando si pensa alla guerra per le risorse viene in mente il petrolio, ma c'è una materia prima altrettanto preziosa
Quando si pensa alla guerra per le risorse viene in mente il petrolio, ma c'è una materia prima altrettanto preziosa

Keystone

Il termine ‘foresta’ fa pensare alla natura, alla libertà, all’odore di legno e pioggia. Raramente la mente corre a immagini di guerra ed è difficile immaginare del legno macchiato di sangue.


La guerra per gli alberi - Eppure, in molti Paesi, martoriati dalla fame e dalla povertà, è proprio il taglio del legno a finanziare, tramite traffici illegali, le guerre civili che da anni mietono milioni di morti. Si parla di ‘legno di conflitto’ quando i conflitti sono alimentati o finanziati con lo sfruttamento delle foreste e il commercio del legname oppure nel caso di guerre che nascono per il controllo di tal risorsa.

Il fenomeno del legno di conflitto, molto spesso, procede parallelamente a quello del disboscamento illegale, anche se di fatto hanno natura diversa. In molti casi sono le stesse autorità statali a impiegare il taglio e il commercio del legno per finanziare conflitti interni ed esterni, promulgando leggi ad hoc al fine di legittimare tali pratiche.

Questo è ciò che è accaduto in Myanmar, Cambogia e Liberia, dove le compagnie del legno finanziavano gli eserciti ribelli o, a seconda dei propri interessi, i regimi dittatoriali. Ed è ciò che sta avvenendo in Sud Sudan, dove la guerra civile che devasta il paese è finanziato dal taglio illegale del legno pregiato delle piantagioni e delle foreste. Anche se la guerra è ufficialmente terminata nell’agosto del 2018, a seguito della firma di un accordo di pace, ancora oggi si combatte in diverse parti del Paese africano.

Reuters

Sud Sudan, miniera a cielo aperto - Proprio nell’instabile regione dell’Equatoria, uno dei dieci stati del Sud Sudan, si trovano le più vaste aree forestali e le maestose piantagioni di teak. Il teak è un albero di origine asiatica, proveniente dall’India e dal Sud-Est asiatico, che è stato introdotto dai coloni inglesi nei primi decenni del secolo scorso trovando, in Africa, terreno fertile. Gli ultimi dati risalenti al 2006 parlano di 8 mila ettari di colture mappate subito dopo la pace che mise fine alla ventennale guerra tra il Sud Sudan e il governo centrale di Khartoum.

La vastità delle piantagioni però non è effettivamente calcolabile se si pensa che estese colture, come quelle del Bahr al Jabal o nei monti Imatong, al confine con l’Uganda, non erano all’epoca ancora cominciate. Il commercio di tale legno pregiato avrebbe potuto costituire un' importantissima risorsa per l’economia del Paese, basata soprattutto sul commercio del petrolio.

Secondo stime dell’Onu, il Sud Sudan potrebbe riscuotere tasse per circa 50 milioni di dollari se solo si riuscisse a regolamentare il mercato del legname pregiato, e invece ne ricava tra l‘ 1 e i 2 milioni di dollari soltanto. La realtà è che, secondo anche quanto affermato da diverse organizzazioni internazionali, lo sfruttamento del legno è quasi completamente in mano ai vari ‘signori della guerra’ che lo utilizzano unicamente per il finanziamento delle guerre civili.

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Il teak, sporco di sangue come il petrolio - Come riportato da David Deng, direttore della South Sudan Law Society, un parlamentare del Fronte di liberazione, poi diventato partito di Governo in Sud Sudan, fece luce su come venne finanziata la ventennale guerra contro il Governo di Khartoum «Per il Nord c’era il petrolio e per noi c’era il teak insanguinato». Anche nel vicino Kenya non è difficile rinvenire testimonianze che provino come il traffico del pregiato legno sudanese sia nelle mani dei comandi militari delle diverse fazioni in lotta.

Il problema è che il Sud Sudan, paese indipendente dal 2011 ma ricaduto in una sanguinosa guerra civile nonostante le diverse tregue firmate negli anni, non si è dotato di una legislazione atta a regolamentarne la coltivazione e il commercio.

Qui i trafficanti di legno possono fare incetta di teak che invece è soggetto a restrizioni in Asia meridionale. Romy van der Burgh e Linda van der Pol, autrici di un'inchiesta giornalistica intitolata ‘Foreste per ladri’ hanno contattato dei trafficanti di legno fingendosi interessate a importare una partita di teak in Europa.

Per aggirare le restrizioni poste dalla legislazione europea, è stato proposto loro di «fare rifornimento in Sudan ma facciamo un certificato di origine dall’Uganda, dal Congo o da dove vogliamo. Diamo qualcosa a un funzionario e possiamo avere le dichiarazioni di origine che vogliamo».

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La via dell'India - Sempre secondo quanto affermato dal rappresentante di una delle 120 ditte disponibili: «Prendiamo il teak che ci arriva dal Sud Sudan attraverso l’Uganda, A Kampala riempiamo i container che ripartono per il porto di Mombasa in Kenya, dove poi lo imbarchiamo per l’India».

In effetti, l’India è un paese produttore di teak e si presta al meglio per commercializzarlo a livello internazionale senza destare sospetti. Secondo i dati forniti dalle dogane indiane, nel 2019 un centinaio di compagnie hanno trasportato in India teak la cui origine è sicuramente sudanese.

Sono state registrate circa 500 navi con un carico complessivo di 20 mila metri cubi di legname per un valore di circa 12 milioni di euro. Tali dati sono confermati anche dall’organizzazione americana C4ADS, specializzata nell’acquisizione di dati provenienti da zone di guerra. Secondo i dati raccolti ma non aggiornati vista la mancanza di ufficialità, ogni anno verrebbero commercializzati 100 mila tonnellate di teak sud sudanese proveniente, nel 73% dei casi, dall’India.

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Scintilla per il conflitto - L’Organizzazione Open global rights, tempo fa, ha pubblicato sul suo sito web un articolo d’inchiesta in cui si dimostra che le zone ricche di legname sono anche quelle dove gli scontri continuano a essere più accesi esattamente come capita in quelle ricche di petrolio.

Un rapporto del Consiglio di sicurezza dell’Onu pubblicato nel 2017 descrive l’economia del Sud Sudan come una economia di guerra in cui «l’estrazione delle risorse, oro, petrolio e teak, è condotta in contemporanea all’avanzamento delle operazioni militari e per l’arricchimento delle élite».

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Le foreste divorate - Il disboscamento è stato così selvaggio che per l’esperto Abdalla Gafarr la soluzione migliore sarebbe quella di disboscare e ripiantare da capo non essendoci altra soluzione allo stato di degrado dell’Equatoria Centrale. Di sicuro il dramma della deforestazione sta creando un danno ecologico ed economico incalcolabile ed è concreto il rischio dell’esaurimento di questa inestimabile risorsa verde, così come denunciato dalle comunità locali e dalle organizzazioni che si occupano della protezione dell’ambiente.

Secondo la FAO, tra il 2010 e il 2020, l’Africa ha registrato il più alto tasso di deforestazione perdendo 3,9 milioni di ettari di foreste all’anno. Il legno africano è spesso macchiato di sangue e ovunque ci sia una guerra civile la stessa, nella maggior parte dei casi, è finanziata dal commercio del legname.

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Un continente da saccheggiare - Così come avviene in Sud Sudan, lo stesso può affermarsi per la Repubblica Centrafricana, uno stato funestato dal 2013 da una sanguinosa guerra interna che ha mietuto più di 5 mila morti e oltre un milione di rifugiati negli stati vicini. Anche qui l’industria del legno ha finanziato entrambi le fazioni attive nel conflitto contribuendo al massacro di milioni di persone. L’Europa ha un ruolo di tutto rispetto in questo giro d’affari.

Di fatto, il regolamento per la commercializzazione del legname, introdotto nel 2013, è rimasto in gran parte inapplicato o è stato troppo spesso aggirato a causa della mancanza dei controlli e per le lacune di una normativa troppo farraginosa. I dati ufficiali della Repubblica Centrafricana dimostrano che il 59% delle esportazioni illegali di legname ha come destinazione l’Europa, principalmente Germania, con il 32% delle esportazioni totali, seguita dalla Francia con il 20% e il Regno Unito con il 5%.

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Quelli che ci guadagnano - In un rapporto del 2015 della organizzazione britannica Global Witness, che si batte contro la corruzione e la devastazione dell’ambiente, intitolato ‘Blood timber’, Legno insanguinato, nella Repubblica Centrafricana operano stabilmente diverse compagnie che traggono profitto dal commercio del legname pregiato: si tratta della francese Industrie forestière de Batalimo, la libanese Sociètè d’exploitation forestière e il gruppo cinese Vicwood le quali continuano a operare nonostante lo scoppio del conflitto armato.

Le aziende europee che hanno tratto maggior profitto dall’esportazione di legno della Repubblica Centrafricana sono state le compagnie francesi Tropica-Bois, la F.Jammes, e la Bois des Trois Porte oltre che la tedesca Johann D Voss.

Intervistato da un infiltrato della Global Witness, un rappresentante della Tropica-Bois ha dichiarato: «E’ l’Africa. La guerra è così frequente che non vi prestiamo attenzione.
Non è una guerra in cui attaccano i bianchi. Non è una guerra che possiamo evitare». Ed è proprio a causa dell’indifferenza generale che il legno africano continua a coprirsi di sangue.