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AFGHANISTAN / REGNO UNITODifensori dei diritti umani sotto attacco in Afghanistan

28.08.19 - 06:00
Lo denuncia Amnesty International, che chiede a Kabul più protezione e alla comunità internazionale più sostegno
Keystone
Quando non intimidisce, lo Stato manca di proteggere
Quando non intimidisce, lo Stato manca di proteggere
Difensori dei diritti umani sotto attacco in Afghanistan
Lo denuncia Amnesty International, che chiede a Kabul più protezione e alla comunità internazionale più sostegno

KABUL / LONDRA -  Benché molti credano che la guerra sia finita in Afghanistan, il Paese asiatico è impantanato in un conflitto tra insorti e governo centrale che, lo scorso anno, ha registrato il più alto numero di vittime civili dal 2009 a questa parte: più di 3’800, cui si aggiungono oltre 7mila feriti. Tutta la popolazione patisce per la diffusa assenza di sicurezza, ma chi si occupa di difesa dei diritti umani in un territorio in cui questi ultimi sono particolarmente a rischio è più esposto di altri.

Lo denuncia Amnesty International, che nel suo ultimo rapporto “Defenceless Defenders” (“Difensori indifesi”) lamenta «attacchi sempre più violenti», «intimidazioni, molestie e minacce» ai danni degli attivisti per i diritti umani ad opera di talebani e Stato islamico ma anche del governo. Quando non si rende direttamente protagonista di intimidazioni, sottolinea l’organizzazione non governativa, l’esecutivo di Kabul manca comunque di indagare sui crimini segnalati e di difendere adeguatamente chi si impegna per i diritti umani in Afghanistan.

«Questo è uno dei momenti peggiori in cui essere un attivista per i diritti umani in Afghanistan», afferma il vicedirettore di Amnesty International per l’Asia Meridionale, Omar Waraich, citato dalla Ong. L’appello al governo afghano - oltre ad astenersi da qualsiasi minaccia verso chi lotta, per esempio, per la libertà di espressione - è a «rispettare, proteggere e sostenere gli attivisti e indagare sulle minacce e gli attacchi contro di loro». La comunità internazionale, invece, «deve fare un passo avanti e dare alla comunità dei difensori dei diritti umani afghana il sostegno di cui ha urgente bisogno». 

Di seguito, alcuni episodi di violenza e minacce raccolti da Amnesty International.
«Nell'ottobre 2015, due membri dello staff della Commissione indipendente per i diritti umani in Afghanistan (AIHRC) sono stati uccisi e altri due sono rimasti feriti quando è esplosa una bomba lungo la strada nella provincia orientale di Nangarhar. “Ad oggi, il governo purtroppo non ha arrestato nessuno", ha dichiarato un funzionario dell'AIHRC ad Amnesty International. "Non siamo stati informati di alcun progresso [nell'indagine]".

Nel settembre 2016, sette colpi di arma da fuoco sono stati sparati contro Khalil Parsa, un attivista per i diritti umani della provincia di Herat, mentre guidava verso casa. L'attacco è avvenuto dopo che aveva ricevuto una serie di minacce, che gli intimavano di interrompere il proprio lavoro per i diritti umani. Quando ha denunciato queste minacce alla Direzione Nazionale della Sicurezza, a Khalil Parsa è stato semplicemente detto di informare le agenzie di sicurezza “la prossima volta che si verifica un incidente”. Dopo aver lasciato temporaneamente il paese per cercare sicurezza altrove, gli è stato detto che il governo non indagherà sull'attacco che ha subito.

Nell'ottobre 2018, "Mohammed" (nome di fantasia), stava tornando a casa - a Kabul - quando qualcuno ha iniziato a seguirlo e gli ha sparato, ferendolo al fegato. Mohammed non ha ricevuto alcuna protezione, nonostante si sia rivolto alle autorità. Gli è stato semplicemente detto di comprare una pistola e "proteggersi". Le preoccupazioni per la sua sicurezza lo hanno costretto a trasferirsi. 

Hasiba, nome di fantasia, è un avvocato che difende le donne vittime di violenza domestica, che chiedono il divorzio o che devono affrontare delle accuse penali. Dal 2017, ha ricevuto ripetute minacce di violenza, compresi attacchi con l'acido. La polizia ha registrato il suo caso, ma non ha intrapreso ulteriori azioni, costringendola a chiudere il suo studio legale per sette mesi».

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