Ogni presidente dei partiti di governo ha la propria soluzione per regolare le relazioni con Bruxelles, su cui Alain Berset non lesina qualche critica
BERNA - I rapporti con l'Unione europea continuano a dividere il governo e i partiti svizzeri, stando alle dichiarazioni di loro esponenti riportate oggi dalla stampa domenicale.
Il prossimo presidente della Confederazione Alain Berset critica nel "Matin Dimanche" e nella "SonntagsZeitung" il modo in cui Bruxelles ha trattato ultimamente la Svizzera. Il 45enne consigliere federale socialista aggiunge tuttavia immediatamente che è nell'interesse di quest'ultima avere "rapporti regolati" con l'Unione europea, anche se ci sono ancora parecchie questioni da chiarire.
Interpellato sull'affermazione fatta dal neo ministro degli esteri Ignazio Cassis (PLR) di voler pigiare sul bottone "reset" riguardo alla politica europea, Berset risponde di non «voler interpretare le sue dichiarazioni». «C'è una linea chiara del Consiglio federale che è chiara - aggiunge -: desideriamo stabilizzare la via bilaterale, e questo richiede una certa stabilità anche sul piano istituzionale (...). Condurremo la discussione su questa base nel Consiglio federale».
Berset non si sbilancia sulle intenzioni del governo elvetico riguardo al cosiddetto contributo di coesione di 1,3 miliardi di franchi destinato gli Stati UE dell'Europa orientale. La somma era stata promessa al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker in occasione della sua visita a Berna lo scorso 23 novembre, ma è stata rimessa in discussione dopo che l'esecutivo comunitario ha approvato il 21 dicembre solo in via temporanea - sino alla fine del 2018 - il riconoscimento dell'equivalenza della borsa svizzera, adducendo "progressi non sufficientemente sostanziali nell'accordo quadro istituzionale" tra Svizzera e UE.
PS mette pressione a Cassis - Nel "SonntagsBlick" - che dà la parola ai presidenti dei quattro prtiti di governo - il leader del PS Christian Levrat esige che il ministro degli esteri Cassis prenda "infine il timone in mano", negozi rapidamente un accordo quadro istituzionale con l'UE e lo presenti al popolo affinché questo possa decidere se il prezzo è ragionevole o no. «In politica internazionale non si fanno regali, sicurezza e prosperità hanno il loro prezzo», aggiunge Levrat.
PPD e PLR per la via bilaterale - Il suo omologo del PPD, Gerhard Pfister, continua a puntare sulla via bilaterale con una Svizzera sovrana: il Consiglio federale deve rappresentare gli interessi del paese di fronte all'Unione europea «con sicurezza di sé, in modo unitario e con pragmatismo», afferma sul domenicale zurighese. Un accordo quadro che «limiti la sovranità della Svizzera con giudici stranieri per il PPD non è accettabile», sottolinea.
Per la presidente del PLR Petra Gössi, non si tratta di aderire all'Unione europea, come vorrebbero a suo avviso i socialisti, ma neppure di isolarsi come chiedono i "conservatori" dell'UDC. Per la consigliera nazionale svittese «è sempre più evidente che occorre un nuovo fondamento per gli accordi» con l'UE, in modo da garantire alla Svizzera sicurezza giuridica e libero accesso ai mercati. Deve però trattarsi di una soluzione trovata tra partner su un piano di parità. La Svizzera - aggiunge - deve negoziare con «forza e mente fredda» con Bruxelles, ma oggi questo non è possibile per il continuo desiderio di "autoprofilarsi" di conservatori e socialisti.
UDC fedele alla sua linea - Albert Rösti, presidente dell'UDC, insiste infine sull'autodeterminazione della Svizzera, che è a suo avviso ricattata dall'UE. Bruxelles - sostiene - vuole che Berna adotti automaticamente il diritto europeo: l'«accordo amichevole» cui Juncker mira è un «trattato coloniale», corrispondente in pratica a un'adesione. Il Consiglio federale deve rispondere con energica determinazione, rifiutando di cedere, esige Rösti, che ribadisce anche il suo no al pagamento dei previsti 1,3 miliardi per la coesione europea.