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OSPITEAtomo sì, atomo no

15.11.16 - 06:00
Dario Marty, Partito Comunista
Atomo sì, atomo no
Dario Marty, Partito Comunista

Il tema del nucleare è complesso e ha suscitato parecchi interrogativi che ho approfondito cercando di non scadere in facili allarmismi bensì facendo lucidamente i conti in tasca al nucleare. Sono arrivato a concludere che se le energie rinnovabili disponessero dei 19 miliardi di franchi del Fondo di disattivazione e del Fondo di smaltimento delle centrali nucleari, esse potrebbero diventare una valida alternativa!

Il tema del nucleare è sempre stato controverso. Anche perché è d’attualità solo quando avvengono degli incidenti o, addirittura, delle catastrofi. Eppure sparpagliate per il globo, ci sono più di 430 centrali funzionanti, ed altre dozzine sono in costruzione. Può dunque un paese altamente industrializzato come la Svizzera permettersi di spegnere le sue centrali?
Fukushima ha rappresentato un punto di svolta per la strategia energetica tradizionale. Prima della catastrofe, in Giappone circa 1/3 della corrente elettrica del paese era prodotta tramite energia nucleare. Dopo la catastrofe, il Giappone ha spento, seppur per tempo limitato, tutti i suoi reattori; ed è comunque riuscito a coprire le sue esigenze energetiche. Questo pone delle serie domande in merito alla necessità dell’energia nucleare, in Giappone e nel mondo, a maggior ragione pensando che in questo momento due centrali nucleari svizzere sono spente per manutenzione e noi non ne percepiamo la mancanza.
Peraltro, attraverso l’ottimizzazione delle nuove tecnologie funzionali all'ottenimento di una maggior efficienza energetica, le previsioni del consumo di elettricità in Svizzera possono essere contenute, come dimostrano anche gli ultimi dieci anni in cui non si è registrato un grande aumento del fabbisogno energetico del nostro paese.

In Svizzera la situazione è simile. Le nostre cinque centrali nucleari producono il 33.5% della corrente elettrica. Mentre il 59.9% viene prodotto dalle centrali idroelettriche. Con ciò è coperto il 93.4 % della produzione totale di energia elettrica (e il 99.7% del fabbisogno elettrico) della Svizzera. Le fonti alternative quali l'energia solare ed eolica, e il biogas sono molto sottorappresentate.

Uscire dal nucleare comporterebbe acquistare energia “sporca” dall’estero?
Nel 2015 la Svizzera ha prodotto 65'957 Gigawattora; nello stesso anno, tuttavia, ha esportato 43’341 GWh e importato 42’306 GWh. Valori considerevoli rispetto al totale. Essi però si spiegano in ragione del fatto che d'inverno la produzione di energia idroelettrica è ridotta: quindi, già ora, vi è la necessità di acquistare energia “sporca” estera. In estate, per contro, accade il contrario: le produzioni delle centrali idroelettriche e nucleari si sovrappongono, creando una massiccia sovrapproduzione. E questo riequilibra i conti.
Osservando la produzione nucleare in dettaglio, notiamo che le tre centrali più vecchie, Beznau 1 & 2 (365 Mega Watt ciascuna) e Mühleberg (373 MW), hanno un rendimento nettamente inferiore rispetto a quella di Gösgen (1010 MW) e a quella di Leibstadt (1220 MW).

Ma facciamo un altro paragone in termini di rendimento. La controversa centrale a carbone di Lünen in Germania, dove l’AET si era scottata le dita qualche anno fa, produce 750 MW, quindi l’equivalente dell’obsoleta centrale di Beznau 1 e 2 insieme. Dal canto suo la centrale idroelettrica della Verzasca ha un rendimento di 105 MW.

Le centrali Svizzere sono sicure?
Beznau 1, costruita nel 1969, è la più vecchia centrale nucleare in servizio nel mondo, e ciò fa già intuire che la sua tecnica è antiquata. La legge Svizzera non prevede alcun limite di tempo per quel che concerne la durata d’esercizio; le centrali nucleari possono quindi continuare a funzionare fino a quando saranno dichiarate sicure. La valutazione della loro sicurezza costituisce infatti un elemento di primaria importanza per l’IFSN (Ispettorato Federale della Sicurezza Nucleare), che esige delle valutazioni annue della sicurezza ed un esame approfondito ogni 10 anni.
Ma anche Fukushima era dichiarata sicura.

Lo smantellamento e lo smaltimento sono effettivamente realizzabili?
Il decadimento della radioattività delle scorie richiede lunghissimi periodi di tempo. La patata rimane bollente per molto tempo; e attualmente non abbiamo alcuna idea di cosa farcene. Infatti la legge federale sull’energia nucleare prescrive lo stoccaggio di tutte le scorie radioattive in depositi collocati in strati geologici profondi. Insomma, «lontano dagli occhi, lontano dal cuore».
Ma non è tutto oro quel che luccica, anzi. Seppur stoccati nel profondo del sottosuolo, nessuno li vuole avere. Invero i rischi sono molteplici. Sono necessari almeno 200'000 anni affinché siano raggiunti livelli di radioattività “non più pericolosi”. In questo lasso di tempo può accadere di tutto; la corrosione dell’acciaio delle botti produce idrogeno, che è infiammabile e produce una sovrappressione. E se le botti si corrodono, il contenuto può fuoriuscire, e nel caso peggiore finire nella falda acquifera. Ma purtroppo occorre ammettere che attualmente non ci sono vere alternative aventi un impatto ambientale (teorico) altrettanto basso.

E i costi?
Secondo uno studio del 2011, i costi di disattivazione delle cinque centrali nucleari svizzere sono stimati attorno a 2,974 miliardi di franchi. Quanto allo smaltimento, i costi ammontano a 15,970 miliardi di franchi. Per onorare i costi sono stati instaurati due fondi: il fondo di disattivazione ed il fondo di smaltimento.
Questi fondi sono interamente finanziati dai gestori delle centrali. I contributi annui che questi devono pagare sono di circa 127,7 milioni per il Fondo di smaltimento e circa 60,7 milioni per il Fondo di disattivazione.
Alla fine del 2012, il capitale accumulato nel fondo di disattivazione ammontava a 1,531 miliardi. Mancano quindi 1,443 miliardi per raggiungere i costi stimati.
Ogni anno 60.7 milioni di franchi vengono versati nel fondo. Di questo passo, i gestori dovranno pagare per altri 19.77 anni per arrivare a coprire i costi totali di smantellamento. Tuttavia, ad ogni nuova stima (ricalcolata ogni cinque anni), l’importo lievita sempre di più. Sarà per questo motivo che insistono a tener in funzione le vecchie centrali? Chi pagherà la differenza d’importo nel caso le centrali si dovessero spegnere subito? E cosa succederebbe se uno dei proprietari delle centrali andasse in fallimento?

Le previsioni per il fondo di smaltimento sono ancor più tristi. I ritardi legati all'individuazione di un sito adatto allo stoccaggio finale stanno infatti creando una moltitudine di costi aggiuntivi.

Occorre muoversi fin da subito, anticipare i tempi e investire nel futuro. Se da una parte non sarà per nulla evidente sostituire in breve tempo l'energia nucleare, dall'altra va sottolineato che laddove le energie rinnovabili disponessero di un budget di 18,944 miliardi di franchi – ossia la somma dei finanziamenti legati al Fondo di disattivazione e al Fondo di smaltimento -, esse potrebbero diventare un'alternativa strategica realistica.

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