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CANTONE«In quella notte ci si sente molto soli»

19.09.17 - 09:03
Remigio Ratti, candidato al Consiglio federale nel 1999, racconta come si vive da candidati la famigerata notte dei lunghi coltelli
Tipress
«In quella notte ci si sente molto soli»
Remigio Ratti, candidato al Consiglio federale nel 1999, racconta come si vive da candidati la famigerata notte dei lunghi coltelli

LUGANO - La chiamano la notte dei lunghi coltelli, perché attorno ai tavoli dei ristoranti della capitale si decide il futuro della Svizzera. Anzi, c’è un luogo preciso che incarna le ombrose macchinazioni dell’ultima notte prima di un’elezione: il bar del Bellevue. Roba da House of Cards che, probabilmente, risponde ormai al vero solo in parte.

Questa sera al Bellevue, infatti, sarà soprattutto un gran teatrino. Quasi un’attrazione turistica. Da ogni angolo del paese arriveranno delegazioni di amici, parenti, politici. Anche dal Ticino si muoveranno un centinaio di supporter di Cassis. E, dopo cena, tutti al Bellevue: con un briciolo di convinzione di far parte della notte dei lunghi coltelli. Nella realtà, chissà dove saranno i veri manovratori, forse avranno creato un gruppo su WhatsApp.

Chi tira i fili, di sicuro non lo farà in quello che per alcune ore è il palcoscenico più importante della Svizzera. Ce lo conferma chi quella notte l’ha vissuta da protagonista: «I burattinai sono pochi e ben nascosti», ci dice Remigio Ratti. Candidato ufficiale del Ppd nel 1999, quando bisognava sostituire Flavio Cotti. Rimase fuori gara al terzo turno: nei primi due era ancora in corsa, ma due candidati selvaggi complicarono parecchio il gioco. Alla fine la spuntò, per un solo voto, Joseph Deiss, anche lui candidato ufficiale.


Ci sono similitudini con l’avventura di Cassis?

Lo scenario era completamente diverso. L’opinione prevalente è che dopo l’era Cotti, la Svizzera italiana potesse fare una pausa. Oggi è proprio il contrario.

Come decise di concorrere?

La mia candidatura è nata durante un’intervista con un giornalista svizzero tedesco, parlando proprio dell’assenza di una candidatura ticinese mi chiese se mi sarei fatto avanti, risposi “Warum nicht”. Il Ppd, abbastanza sensibile alla questione regionale, finì per candidarmi ufficialmente.

Come ci si sente la sera prima del voto?

Mi sono sentito molto solo, penso che qualsiasi candidato nella notte dei lunghi coltelli si senta solo. Incontri amici e colleghi, ma tutti fuggono per la tangente, non vogliono far capire le tattiche che vorranno attuare la mattina dopo. Anche i cosiddetti sostenitori in quel momento tacciono.

Non partiva favorito, si sentiva sconfitto?

Le probabilità d’elezione non erano molto elevate. Ma ritengo che sia importantissimo rimanere fedeli a se stessi. Avevo preparato il discorso di accettazione, un bigino che tenevo in tasca. Questo per rispetto degli elettori, di chi ti sostiene, ma anche per una necessità psicologica propria. Perché in una campagna simile lo stress che si accumula è enorme. È importante tenere psicologicamente.

Dal Ticino com’era il sostegno? Come sempre si inizia al motto "tutti per uno", ma si finisce che ognuno pensa per sé?

Sì, finisce sempre così. Ai miei tempi il capogruppo liberale si rifiutò di sostenere una risoluzione in favore della candidatura, dissero che non toccava al Gran Consiglio, alla fine il parlamento non mi sostenne e sono passati 18 anni dall’ultimo ticinese in Consiglio federale.

Poi c’è chi pensa: "Se eleggono lui, poi non eleggeranno me"

È chiaro che ci siano questi giochi, queste aspettative. Ricordo che Franco Cavalli fu onesto, mi disse: “Ti voto al primo turno, ma a fine anno quando andrà via Ruth Dreyfuss potrebbe toccare a me”. Poi non fu così (Dreyfuss lasciò nel 2002, ndr), ma fu sincero.

Votò per se stesso?

Certo, non è proprio il caso di fare dei regali in quei momenti, nessuno li fa.

Come ricorda quei giorni?

È stata un’esperienza che mi sono sentito di fare. Oggi mi fa strano come molti la ricordino ancora anche nella Svizzera tedesca. Ero un candidato trasversale.

E il famoso bigino? Ce l’ha ancora?

Dovrei averlo in una scatola dove ho tenuto tutto. Ho ritrovato anche una lettera manoscritta di Giuseppe Buffi, nonostante i liberali non mi sostenessero lui volle dimostrarmi tutto il suo appoggio.

 

 

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