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ATTUALITÀ SETTIMANALEUna nuova alba per le politiche e gli investimenti climatici

09.05.16 - 17:12
Negli ultimi anni la produzione di energia da fonti rinnovabili è stata sfavorita dalle ripercussioni della crisi finanziaria e dalle riduzioni dei sussidi.
Una nuova alba per le politiche e gli investimenti climatici
Negli ultimi anni la produzione di energia da fonti rinnovabili è stata sfavorita dalle ripercussioni della crisi finanziaria e dalle riduzioni dei sussidi.

LUGANO -  La conferenza di Parigi sul cambiamento climatico non è giunta a un accordo vincolante in materia, né ha fissato un prezzo per la CO2 al fine di ridurre le emissioni, ma ha rappresentato nondimeno una svolta per le politiche e gli investimenti climatici. Vi è, infatti, una crescente consapevolezza della gravità della situazione. Nuovi studi sulle potenziali conseguenze economiche del fenomeno sono pubblicati a un ritmo pressoché incessante. Secondo alcuni osservatori, l'inerzia ha un costo che potrebbe superare i 40mila miliardi di dollari in valore attuale mentre, eventuali misure per risolvere o mitigare l'impatto del cambiamento climatico potrebbero non avere effetti negativi sulla crescita economica. 

Negli ultimi anni la produzione di energia da fonti rinnovabili è stata sfavorita dalle ripercussioni della crisi finanziaria e dalle riduzioni dei sussidi. Ciò nonostante i flussi di capitale verso gli investimenti “verdi” provenienti dai fondi di private equity hanno continuato a crescere ed oggi la tesi d'investimento appare persino più attraente; i costi di produzione non si discostano ormai di molto da quelli delle fonti fossili e sono addirittura inferiori in Stati ben soleggiati.
Ogni anno gli investimenti nell’energia da fonti rinnovabili ammontano a circa 330 miliardi di dollari e sono destinati a salire considerevolmente. I capi di stato e di governo riuniti a Parigi si sono impegnati ad investire ulteriori 100 miliardi di dollari su base annua. La Banca Mondiale e l’International Finance Corporation (IFC) hanno recentemente dichiarato che contribuiranno con 25-30 miliardi di dollari. Per evitare le più gravi conseguenze del cambiamento climatico, serviranno circa 500 miliardi di investimenti aggiuntivi all'anno.

Mentre pensiamo che le promesse d’investire vadano prese con beneficio di inventario, siamo pronti a scommettere che i finanziamenti per sviluppare la produzione di energia da fonti rinnovabili si troveranno; i rischi per l'economia posti dal cambiamento climatico sono semplicemente troppo elevati per ignorarli. I capitali proverranno da più parti: i piani climatici nazionali definiti nell'ambito dell'accordo di Parigi hanno già stanziato oltre 13,5 mila miliardi di dollari da qui al 2030; ulteriori somme potrebbero derivare dall'introduzione di una carbon tax. Oggi l'umanità sta finanziando con sussidi nell'ordine di circa 500 miliardi di dollari all'anno la produzione di energia da petrolio e carbone, e pertanto indirettamente le emissioni di CO2, mentre, l'energia da fonti rinnovabili riceve soltanto 135 miliardi di dollari. Ci aspettiamo che i sussidi andranno gradualmente spostandosi dal greggio a fonti di energia più pulite. In maniera simile pensiamo che si comporteranno gli investimenti in capacità produttiva da parte dell’industria estrattiva che oggi ammontano ad oltre 650 miliardi di dollari.
A causa dei progressi compiuti in termini di risparmi ed efficienza, si stima che la domanda mondiale di energia crescerà meno del PIL, a un ritmo annuale pari a circa 1,5-2%; Tuttavia, ciò che più conta, è che all’interno di questa crescita, le rinnovabili aumenteranno di peso in maniera significative, a fronte di una decrescita dell’uso di carbone e petrolio.
La sottoperformance del settore dell'energia rinnovabile potrebbe quindi essere ormai relegata al passato. A partire dalla Conferenza di Parigi, il comparto, rappresentato dall’indice “HSBC climate change”, ha cominciato a sovraperformare il mercato, a prescindere dalle oscillazioni dei prezzi petroliferi. Altri sviluppi degni di nota sono che dal 2012 gli indici settoriali “puliti” hanno iniziato a battere gli indici energetici convenzionali, e che i fondi che investono in energia pulita, si sono stabilizzati dopo anni di deflussi.
Vi sono inoltre valutazioni interessanti: i multipli delle società dei comparti dell'energia e tecnologia pulita sono in linea con il resto del mercato, quando invece, date le solide prospettive di crescita, dovrebbero trattare con un premio.
Per capire meglio quali fattori il mercato stia scontando può anche essere utile analizzare il rapporto tra le valutazioni delle società petrolifere, le loro riserve fossili dichiarate, e il prezzo del greggio al barile negli ultimi quindici anni. Queste aziende scontano tuttora valutazioni coerenti con un utilizzo completo delle riserve a loro disposizione. Se questo poteva apparire ragionevole fino a cinque anni fa, oggi tale ipotesi rischia di essere abbastanza ottimistica. Infatti, se bruciassimo tutte le riserve di combustibili fossili di cui si conosce l'esistenza, le emissioni di gas serra sarebbero tre volte superiori al livello necessario a contenere l'aumento delle temperature entro i 2°C.
La transizione da un sistema basato sulle energie fossili, ad uno imperniato sulle rinnovabili rappresenta una sfida epocale, complicata per giunta da un quadro normativo volatile, dall'incalzante evoluzione tecnologica e dalle pressioni delle lobby petrolifere. Tale cambiamento richiederà diversi decenni, ma riteniamo che gli investitori stiano sottovalutandone gli effetti sui mercati globali nel breve e medio termine

 

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